Adulti in gioco. Tenere il passo dei ragazzi per dar voce al Vangelo
I giovani di Novara in cammino
I centri di pastorale giovanile, in questi giorni, sono ingombri di cartoni. Qualcuno va al biscottificio in diocesi e se ne viene a casa con un paio di quintali di biscotti per le colazioni dei giorni di cammino. I ragazzi aprono i cassetti e vivono la vertigine di chi ha messo sul letto una montagna di indumenti ed effetti personali, ma sa che nello zaino deve entrare solo il necessario.
Basterebbe questa immagine per dire che c’è molto in gioco e molto già in movimento: gli uffici pastorali che ritrovano la sana agitazione di chi si è preso la briga di convocare e coinvolgere ed ora si ritrova a condurre, guidare, sostenere; le relazioni con il territorio che crescono e l’offerta di un po’ di biscotti non è la furbata di chi ottiene le cose senza pagare, ma la sorpresa di chi ha ricevuto solidarietà e ha barattato un po’ di cibo con una preghiera durante il pellegrinaggio; i giovani che finalmente si accorgono dell’inutile stipato nelle loro case e sono costretti a scegliere l’indispensabile - operazione quanto mai difficile e già di per sé educativa.
Siamo alla vigilia di un grande momento di Chiesa: il Sinodo plasticamente rappresentato da giovani che camminano in un gesto di comunità accompagnati da cristiani adulti (laici e preti) che non intendono sottrarsi alla domanda su cosa possa significare consegnare il Vangelo di Gesù a questo tempo; unica operazione in grado di farci sentire ancora generativi di qualcosa.
Il punto è che il Vangelo non lo si consegna come un testo del passato, ma come qualcosa che vive nel cuore e lo anima. Altrimenti non accade nulla. E quindi la consegna a cui siamo chiamati come Chiesa che si interroga sui giovani, è una domanda che ci torna indietro: non sulla 'loro' fede, ma sulla nostra; non sulle 'loro' fatiche, ma sulle nostre. Ci stiamo chiedendo, da adulti che si mettono per strada accanto ai giovani, quanto e cosa arde nel cuore; ci stiamo chiedendo se sulla montagna, durante il discorso di Gesù, ci saremmo addormentati ascoltando le Beatitudini (per citare Tommaso Moro che rispondeva a chi gli chiedeva di giurare per il re).
Ci mettiamo per strada per ritrovare la direzione che porta a rendere testimonianza al Vangelo e all’umanità che esso vorrebbe promuovere. Operazione complessa, molto più di ciò che si possa pensare: chiede di non pretendere di stare sempre davanti, perché il passo dei giovani è più sicuro e rapido; chiede di ascoltarli e accoglierli, perché - come i polmoni - essi sono i primi sensori dell’aria che tira; chiede di trovare tempo e pazienza per accompagnarli, perché in questo esercizio (anche di silenzio fecondo) tutti si torna ad essere discepoli del Maestro, unica condizione per una Chiesa credibile.
La «Ronda di notte» di Rembrandt, in realtà è un laicissimo quadro che ritrae un capitano mentre raccoglie la sua compagnia: nel buio della notte tutti si alzano invitati da un gesto semplice e autorevole. Non mancano i sorrisi e l’entusiasmo: le imprese comuni, di solito, scaldano il cuore degli uomini. Mi si perdoni l’accostamento, ma è un po’ l’immagine di questi giorni e di ciò che sta per accadere: una Parola che chiama, il Papa che incontra, ascolta e accoglie, una Chiesa che è madre e che - senza paura - torna a vivere la gioia dell’incontro con i suoi figli.
* responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile