Il libro. La comunicazione pubblica al tempo del digitale
Nel momento in cui l’Intelligenza Artificiale e il Metaverso irrompono nelle nostre vite, interrogandoci sul nuovo senso da dare alla nostra opera intellettuale e alla nostra stessa presenza fisica in un luogo, bisogna uscire sia dal balbettìo sia dal tifo da spalti. Il balbettìo è quello che relega il digitale ad un’area avveniristico-ludica, una tecnica per il domani o un gioco di società. Il tifo è quello che divide il pubblico in “apocalittici o integrati”, per dirla con Umberto Eco, per cui ogni novità è rischio mortale (per la libertà, la creatività, i diritti umani) o al contrario grandiosa prospettiva d’avvenire. Occorre leggere l’era digitale come un passaggio d’epoca, così come lo furono l’invenzione della stampa a caratteri mobili o la rivoluzione industriale. I paradigmi della nostra convivenza e la stessa qualità della democrazia, la diffusione delle conoscenze, il lavoro, il commercio, l’elaborazione del pensiero e le relazioni umane, cambiano radicalmente, e ciò che contraddistingue il nostro tempo è la rapidità con cui si capovolgono i capisaldi del comune sentire.
È il senso più profondo del “Nuovo Manuale di Comunicazione Pubblica” (Centro documentazione giornalistica, 2022), di Sergio Talamo e Roberto Zarriello, con prefazioni di Mario Morcellini e Gianni Letta, in cui 35 professionisti della comunicazione di ogni parte d’Italia traggono dal vivo della loro esperienza preziose indicazioni di lavoro su social, chat, bot, blog, consultazioni pubbliche, trasparenza, partecipazione civica, ascolto, citizen satisfaction, Pnrr e molti altri temi. Bussola è “il digitale etico” è fare delle nuove tecnologie la leva di una nuova cittadinanza, mantenendo sempre il cittadino e i suoi bisogni come stella polare dell’agire. Come orizzonte, la riforma digitale della comunicazione.
La legge 150 del 2000, frutto di almeno un decennio di intenso lavoro, fu per l’epoca un grande traguardo, perché tirò fuori dalla clandestinità e diede riconoscimento alla informazione e alla comunicazione. Ma si trattò di una fiammata di breve durata. Quella che Mario Morcellini definisce “mancata manutenzione” della legge è stata la ragione principale del suo progressivo e irrimediabile ingiallimento. L’esplosione delle piattaforme social ha portato a una rivoluzione vera nel settore: un semplice post abbatte definitivamente i muri tra comunicazione e informazione. Il ricevente, d’altra parte, non è più solo un cittadino-lettore, ma un cittadino-utente, che interagisce, risponde, chiede, informa lui stesso.
La “legge 151”, come con sintesi giornalistica è chiamato il progetto di riforma, nasce dal lavoro di una commissione coordinata da Sergio Talamo, giornalista, docente e dirigente di Formez PA, e punta su alcuni cardini come: il riconoscimento professionale di figure ad oggi inesistenti nell’ordinamento italiano (ad esempio il social media manager e più in generale l’esperto in comunicazione digitale), con la previsione del doppio profilo giornalista-comunicatore digitale; un modello organizzativo da redazione unica e diffusa che superi il modello a compartimenti stagni della 150 (ufficio stampa/Urp); ed infine, un ruolo attivo dei comunicatori digitali nella gestione della trasparenza-accountability (mirata al controllo di qualità dei servizi), nella rilevazione della customer satisfaction e nella implementazione delle nuove piattaforme di Intelligenza Artificiale. Come ha scritto Gianni Letta nella prefazione al Manuale, “le Istituzioni sono chiamate a considerare la comunicazione digitale e chi vi opera come parte strutturale del corpo democratico”. Proprio così. Prima di essere Politica bisogna essere Stato. Prima di essere decisori bisogna saper essere servitori pubblici.