L'incontro. I giovani ai vescovi del Triveneto: «Vogliamo una Chiesa che dia speranza»
I giovani in dialogo con i vescovi del Triveneto
Esistono distanze incolmabili, se c’è la volontà di incontrarsi? Quali sono le parole che possono arrivare alle orecchie di un giovane e cambiarne il futuro? Quali «piste» possono prendere le comunità ecclesiali per raggiungere i giovani, anche i più distanti, e portare il messaggio del Vangelo? Se c’è un «anello mancante» tra la Chiesa e i «lontani», l’hanno cercato insieme per un’intera giornata, giovani e vescovi insieme, nell'incontro organizzato dalla Conferenza episcopale del Triveneto lo scorso 10 gennaio: «Un tempo per ritrovare e ricostruire la speranza», nella Casa Maria Assunta a Cavallino ( Venezia).
Due giorni di «dialogo e approfondimento», nel primo dei quali invitati d’onore sono stati cinque giovani di età diverse tra i 18 e i 29 anni, provenienti da diverse esperienze ecclesiali, che hanno portato la propria testimonianza. «Che cosa può fare la Chiesa per dare speranza ai giovani?» è stata la domanda centrale dei pastori di Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia. «È bastato poco per innescare il dialogo» raccontano oggi i cinque ragazzi, che sulle parole dette e ascoltate quel giorno riflettono ancora.
Un momento del dialogo dei vescovi del Triveneto con i giovani - Alessandro Polet
La stessa parola “speranza” non suona per tutti allo stesso modo. A 18 anni, per esempio, «se ne perde il filo, perché a questa età spesso manca un obiettivo a lungo raggio, manca un po’ il fine di tutto e e prevale il disorientamento». Laura Martini, di Ancona, è iscritta al primo anno di Filosofia all’università di Padova. Ha fatto la scout per dieci anni, sa di cosa si parla quando si parla di valori, o di controvalori, eppure ha ribadito che ai suoi coetanei «mancano orientamento, persone che siano d’esempio e punti di riferimento».
Seduti in cerchio, liberi di confrontarsi con i quindici presuli del Nordest intervenuti ad ascoltarli, in stile sinodale, i giovani hanno parlato senza timori, ed esposto apertamente il proprio pensiero. «La bellezza del messaggio della Chiesa non sempre è comunicato nel modo più efficace» spiega in poche parole Pietro Pesavento, 21enne di Vittorio Veneto, studente di Medicina a Padova. Come Pietro, anche Enrico De Gasperin di Sedico (Belluno), 28 anni, assunto in una multinazionale, è cresciuto nell'Azione cattolica. Con lui e con gli altri due partecipanti più maturi il dialogo sulla speranza si è declinato anche negli ambiti del lavoro, della formazione, dell’impegno sociale e politico, del volontariato. «Qualcosa inizia a cambiare, magari sarà un processo lento, ma il messaggio positivo della Chiesa può arrivare ai giovani, gli strumenti ci sono». Il riferimento alle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, che «possono essere veicolo del messaggio cristiano per chi è fuori dalla Chiesa».
Sanno che i motivi di distanza sono tanti, non vivono fuori dal mondo i ragazzi che hanno preso la parola all'incontro di Venezia. Fanno volontariato, frequentano comunità di recupero, hanno amicizie con coetanei che abbracciano trasversalmente tanti modi di vivere. «La sfida è trovare lo spazio per tutti – per Anna Della Lucia, di Castion (Belluno), 29 anni -. Gesù ha cercato lebbrosi, emarginati, imperfetti. Quello di cui hanno bisogno i giovani, oppressi dal dovere di diventare super uomini e super donne è qualcuno che dica loro: mi vai bene così come sei».
La consapevolezza dell’importanza strutturale delle relazioni umane è stata affrontata dai vescovi anche negli incontri della giornata successiva, con i sociologi Mauro Magatti e Chiara Giaccardi e con il teologo Rinaldo Ottone. Ma è al cuore e alle parole dei giovani che i Pastori del Triveneto attingeranno per le loro mosse future. Alla loro capacità di comprendere e accettare le sfumature di un’epoca che sembra obbligare a sfuggire a ogni forma di certezza. Per Francesco Polo, 29 anni, membro di Economy of Francesco e laurea all’università Bocconi, oggi direttore dell’Ufficio diocesano pastorale sociale e del lavoro di Vittorio Veneto e direttore del Centro culturale Humanitas di Conegliano, «la Chiesa ha il merito di avere un pensiero coerente, la capacità di essere punto di riferimento sulle tematiche diverse, dalla politica all'economia, e di essere un’ancora sicura. Abbiamo chiesto che possa essere la bussola per orientarsi e abitare i diversi ambienti di questo tempo».
Il vescovo Marangoni: solo uscendo dai nostri ruoli potremo davvero camminare assieme
Il vescovo di Belluno-Feltre, Renato Marangoni, nel giorno del suo ingresso in diocesi - Boato
Il vescovo di Belluno-Feltre, Renato Marangoni, è molto franco: bisogna superare i «moralismi, che creano distanza con le nuove generazioni» e tornare «a comunicare il messaggio cristiano cercando di essere più immediati, non avendo paura anche di 'sconfinare' dai nostri consueti linguaggi».
Il presule, assieme al vescovo di Trento, Lauro Tisi, ha organizzato la due giorni dei vescovi del Triveneto a Cavallino dedicato al tema della speranza e si è occupato in particolare di convocare i cinque giovani dal 18 ai 29 anni per il dialogo che ha aperto l’incontro. «Mettendo al centro il tema della speranza e quindi dello sguardo verso il futuro – nota Marangoni – ci siamo detti che era necessario mettersi in ascolto di coloro che più di tutti guardano avanti e stanno investendo ora sul tempo che verrà. Così abbiamo chiamato alcuni giovani perché si facessero voce dei loro coetanei».
Il loro contributo ha centrato l’obiettivo: «Il dialogo è stato intenso e aperto – racconta il vescovo di Belluno – e ci ha interpellato come pastori e come testimoni di un messaggio, quello del Vangelo, ancora vivo e prezioso. Con le nuove generazioni, però, si è creato uno spazio di lontananza che non fa bene a nessuno. Anche perché da parte loro è stata messa in luce una mancanza di punti di riferimento che non può non provocare l’intera comunità cristiana». La sensazione, insomma, è che «qualcosa si sia rotto nell'intesa comunicativa con le nuove generazioni e che oggi si offra loro una simbologia che non tocca la loro sensibilità», una situazione che non permette di donare ai giovani ciò che loro chiedono, cioè «un messaggio chiaro, spiegabile, decifrabile».
Un esempio concreto Marangoni lo fa citando la «Laudato si’» e l’intera sensibilità ecologica che il documento si porta dietro: «Chi si è avvicinato a questo mondo – spiega il vescovo – ha scoperto una vera e propria miniera». Come passare dalle parole ai fatti quindi? La risposta, secondo il vescovo di Belluno, sta innanzitutto nel «coraggio di sconfinare senza paura dai nostri consueti linguaggi» e poi nella capacità di «creare occasioni in cui dare vita a esperienze di condivisione con le nuove generazioni. Sono questi momenti autentici di incontro personale che avvicinano e rendono credibile il dialogo».
Una riflessione che Marangoni fa a partire dai 16 anni passati nei collegi universitari: «Stando assieme ai ragazzi, convivendo con loro e buttandoti nella relazione con loro piano piano si aprono tante 'porte', spesso inattese. Purtroppo – prosegue il vescovo – mi rendo conto che spesso siamo presi dal nostro ruolo che ci impone compiti istituzionali, giusti e doverosi, ma che rischiano di non permetterci di coltivare la necessaria freschezza e immediatezza nei rapporti». Il piccolo 'esperimento' vissuto a Cavallino ha cercato proprio di superare tutto questo: «Se i gruppi sinodali saranno vissuti con questo stesso stile saranno di sicuro preziosi per guardare con vera speranza al futuro».