Connessioni e profezia. Intelligenza artificiale e algoritmi. Ma in ascolto di tutti
Ruggero Eugeni
Un numero crescente di filosofi ritiene che per comprendere il presente occorra recuperare alcuni termini e concetti della tradizione teologica, in particolare della teologia politica. Vorrei applicare un’idea analoga al mondo dei media contemporanei: la cultura dei media deve molto a concetti, atteggiamenti, narrazioni desunte dal pensiero religioso – ovviamente ripensati e riplasmati a misura di nuove esigenze. Faccio tre esempi a questo proposito. La sequela è un atteggiamento centrale della vita del fedele e individua un modello di fedeltà alla propria vocazione e una relazione personale con Cristo. Non è difficile osservare come oggi i followers siano i nuovi seguaci, e come seguire una certa serie di fiction distesa nel corso di parecchie stagioni sia l’abitudine ordinaria dei binge watchers, gli spettatori compulsivi. Ancora: il termine “battesimo” deriva dal verbo greco che indica l’immersione; i media immersivi sono al centro di un forte investimento di interesse e di denaro, dalla realtà estesa al Metaverso. E infine (come osserva Giorgio Agamben) molte pratiche mediali si basano su un principio di “consacrazione” nel senso della cessione ad altri di qualcosa di personale: dagli User Generated Content ai dati personali e biome-trici, fino alla responsabilità di alcune scelte sociali ed economiche demandate agli algoritmi di Intelligenza artificiale. Rispetto a questo quadro propongo non certo di uscire dagli ambienti mediali contemporanei, quanto piuttosto di abitarli effettuando una mossa inversa alla precedente: valorizzare strategicamente alcuni termini e concetti diffusi all’interno del mondo dei media. Anche qui faccio solo tre rapidi esempi. L’atteggiamento della critica è diffuso nelle forme di giudizi, attacchi, nonché di battaglie civili e politiche (il #Metoo, il Black Lives Matter, l’ambiente, etc.). L’assunzione di un atteggiamento critico è preziosa per imparare ad analizzare senza pregiudizi ma con realismo le risorse in gioco nell’uso dei media: non solo quelle visibili (immagini, reputazione, etc.) ma anche quelle invisibili (tempo, attenzione, estrazione di dati, etc.). Ancora: la cultura della partecipazione (descritta in particolare da Henri Jenkins) disegna l’utopia di una Rete che automaticamente genera cooperazione; ma apre al tempo stesso la possibilità di un incontro reale tra il mondo cattolico e le numerose battaglie civili contemporanee: un laicato adeguatamente formato potrebbe dare vita a una rete di “giornalisti dal basso” che dia voce alle categorie più fragili del territorio. Infine, la categoria degli hackers viene spesso identificata con i pirati informatici, benché la loro cultura non indichi necessariamente atteggiamenti criminosi. L’hacking è un atteggiamento di non rassegnazione di fronte alle macchine e agli algoritmi, e indica la volontà di cercare sempre come e dove forzare e reinventare le regole di funzionamento dei dispositivi; esso diviene così un richiamo importante contro ogni rassegnazione e pessimismo. Docente di Semiotica dei media
Università Cattolica di Milano