Affetti. I ragazzi: «Le nostre relazioni sono difficili, ma siamo pronti ad amare»
Sanno bene che relazione fa rima con rispetto, libertà e condivisione, ma sono anche consapevoli di essere immersi in una cultura del “tutto e subito”, caratterizzata da superficialità ed egoismo. Per questo i ragazzi chiedono – e il loro è quasi un grido di aiuto - agli adulti e, in particolare, alla comunità ecclesiale che sui temi dell’educazione all’affettività e alla sessualità ci sia un dialogo aperto, coraggioso, libero e senza tabù. Che accompagni, apra orizzonti di senso, offra testimonianze credibili, faccia assaporare la bellezza di legami maturi e sani. Soprattutto in una società ipersessualizzata, dove spesso i rapporti diventano tossici e la violenza sembra prendere il sopravvento. La tragica morte di Giulia Cecchettin – che ha toccato i cuori dei giovani, con il suo carico di dolore, tristezza e domande - non ha fatto che confermare questa convinzione.
«Ci troviamo ad abitare emozioni sconosciute, che a volte temiamo o che non sappiamo controllare: c’è bisogno di dargli un nome e di capire come viverle», osserva Gabriele Tota, 20 anni, di Potenza, per il quale occorre «formare nuovi cristiani capaci di saper amare in modo genuino, sia a livello personale che comunitario». In questo, i sacerdoti possono giocare un ruolo fondamentale a patto «che siano essi stessi formati e abbiano le giuste conoscenze psicologiche e sociologiche». «Nei ragazzi – spiega lo studente di filosofia – c’è una certa anestesia a livello relazionale: l’altro è visto come qualcuno da usare e non come un volto. Lo si percepisce come un “cosa” piuttosto che un “chi”, si pensa solo al vantaggio da trarne e così quando non serve più lo si può buttare via».
«Com’è possibile che la gente arrivi al punto di pensare che la vita non abbia nessun valore se non è vissuta con una determinata persona?», si domanda Stefano Franchetti, 21 anni, romano, studente di Cinema, per il quale alla base c’è forse «una moralità malata o addirittura una immoralità causata dalla mancanza di cura o da affettività distorte». Di fronte a tutto ciò, sarebbe importante recuperare «la dimensione spirituale dell’affettività, che non è qualcosa di astratto ma si esprime nella quotidianità: bisogna prendersi cura dell’altro e avere a cuore il suo bene». Questo, aggiunge Stefano, significa «avere consapevolezza di sé, degli obiettivi propri e della coppia, che sia passare una serata insieme o l’eternità. Anche se è difficile, è necessario fare verità dentro di noi, perché davanti ad essa crollano le ipocrisie, le falsità che ci portiamo dietro per inerzia o per comodità».
«Siamo nella società della vetrina: tutto deve apparire bello, seducente, forte e, soprattutto, subito disponibile. Non siamo abituati alla mancanza; ciò che desideriamo possiamo averlo immediatamente e senza troppi sforzi. Questo può accadere con gli oggetti, ma basta un nulla perché ci sentiamo di poterlo fare anche con le persone», ragiona Francesca Piovan, 24 anni, di Asti, per la quale invece «una relazione affettiva si basa su un rapporto simmetrico, in cui nessuno schiaccia l’altro e in cui nessuno lede la libertà dell’altro». «Il contrario dell’amore non è l’odio ma il possesso», rimarca la giovane appena laureata in comunicazione sociale che, di fronte all’omicidio di Giulia si è chiesta, senza ancora trovare una risposta, «perché a lei?».
«Quella ragazza aveva solo due anni più di me, frequentava l’università come me, veniva da una famiglia normalissima come la mia: la sua morte ha provocato in me un vortice di emozioni, prima fra tutte tanta paura», confida Marilena Giugliano, ventenne di Nola, studentessa di economia e management, che reputa indispensabile «educare al rispetto, sin da piccoli» e costruire un dialogo sulla sessualità, «argomento del tutto normale nella società in cui viviamo, che affrontiamo con molta naturalezza, ma senza confrontarci con gli adulti». Secondo Marilena, «la Chiesa dovrebbe ascoltare i giovani, accompagnarli a vivere delle relazioni mature, essere più aperta al dialogo, senza alzare muri».
«Non deve aver paura di affrontare certi temi o di ascoltare i ragazzi discuterne, anzi dovrebbe creare momenti di incontro per parlare di relazioni, senza tabù e senza retorica», le fa eco Martina Allevi, 28 anni, di Cremona. «Ai giovani – dice – serve che qualcuno dia loro fiducia, parli in modo schietto del sesso e dell’affettività, sempre tenendo presente il fattore anagrafico, affinché il rapporto con il proprio corpo e con quello degli altri possa essere naturale e non traumatico». Di educazione alla sessualità e all’affettività, evidenzia Martina, c’è bisogno «perché i ragazzi sanno tanto e lo sanno prima rispetto a qualche tempo fa». Il problema, continua, «è come e cosa sanno effettivamente e quali sono le loro fonti di informazione: anche i più piccoli, della quinta elementare o delle medie, conoscono parole e vedono video che trasmettono un modo irrispettoso di relazionarsi».
«Il porno è sempre più a disposizione, ma quello non è amore. Mostrando pulsioni virulente, spesso i social fomentano una cultura sbagliata», rileva Maria Grazia Mastrella, 25 anni, praticante avvocato, di Avezzano, per la quale è urgente «promuovere una cura delle relazioni e una un’affettività orientata al rispetto, e in modo particolare al rispetto della donna che è ancora poco tutelata». «A differenza di altri Paesi, il nostro è ancora molto indietro sul fronte dell’educazione sessuale, mentre è decisivo informare, parlare, spiegare», afferma ricordando che anche la Chiesa potrebbe fare molto, «ascoltando, dialogando e aiutando i ragazzi ad avere relazioni più consapevoli e più sane».
Oggi, sottolinea Dario Scotti, 21 anni, studente di fisica di Pomigliano d’Arco, «c’è una tendenza a concepire l’amore non come relazione ma come compagnia; così, quando si ha paura di perdere l’altra persona, ci si sente in diritto di possederla». Occorrerebbe invece basare tutto sul rispetto, una cifra che «dovrebbe restare anche al di là all’eventuale fine di un rapporto». Ecco allora che se «a dire che l’amore è un dono, un legame che non lede la libertà, sono un sacerdote o un educatore questa frase assume un valore diverso proprio perché pronunciata da figure credibili». Tutto questo, grazie a diverse realtà impegnate sul territorio, «sta già avvenendo». «Non è una partita persa, si deve continuare su questa strada, riflettendo su quanto accaduto». Solo così, conclude Dario, «sarà possibile trarre un bene dalla drammatica morte di Giulia».