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“Grey's anatomy” tra amori e bisturi

Andrea Fagioli mercoledì 22 giugno 2016
Una dozzina di stagioni per una serie televisiva sono tante, soprattutto se ruotano essenzialmente intorno a un personaggio, sia pure affiancato da molti altri. Finisce che il personaggio stesso, attraverso il quale passa il racconto, debba evolversi e trasformarsi nel tempo. E con lui il suo interprete: l'attore o l'attrice. Nel nostro caso un'attrice. Parliamo di Ellen Pompeo, che impersona Meredith Grey, protagonista del medical drama statunitense Grey's anatomy, creato da Shonda Rhimes, in onda ininterrottamente dal 2005 e di cui lunedì scorso Fox Life in prima serata ha proposto il ventitreesimo episodio di questa stagione numero dodici che ne prevede ancora un altro, l'ultimo, che si annuncia “catastrofico”. Poi per Meredith, tirocinante all'inizio, quindi chirurgo e primario in un immaginario ospedale di Seattle, arriverà anche la tredicesima edizione (la Pompeo ha già firmato il contratto), a conferma di un indiscusso successo di pubblico che non sempre ha corrisposto a un successo di critica. Il titolo della serie gioca tra l'assonanza del nome della protagonista con quello dell'autore del noto manuale medico Anatomia del Gray dove Gray sta per Henry Gray, chirurgo e anatomista inglese della seconda metà dell'Ottocento. In Grey's anatomy, come in tutti i medical drama che si rispettino, non mancano i particolari medici poco adatti all'ora di cena (comprese trapanature della calotta cranica), ma a prevalere sono soprattutto la psicologia e i sentimenti. Tra le corsie si formano e si dividono coppie, rigorosamente etero e omosessuali secondo l'attuale politicamente corretto. Carriera e fatti privati s'intrecciano. I drammi del pronto soccorso si confondono con quelli tra le mura e i letti domestici. «Lo stiamo perdendo» l'abbiamo sentito e lo sentiremo ripetere spesso, ma nel corso delle operazioni è molto più centrale il chiacchiericcio sulle questioni personal-sentimentali, in un gioco del dialogo con le mascherine chirurgiche che nascondendo i movimenti della bocca per privilegiare le espressioni del volto e gli sguardi. La vita personale è fuori dall'ospedale, ma gli effetti si ripercuotono all'interno. In questo senso niente di nuovo sotto le lampade delle sale operatorie televisive dai tempi epici del dottor Manson a quelli un po' più recenti del collega Kildare.