Davide Brullo è lo scrittore più eccentrico che io conosca. Eccentrico in tutti i significati dell'aggettivo. Eccentrico perché il suo centro non coincide mai con il centro degli altri. Perché eccentrico è l'opposto di concentrico. Perché, in meccanica, l'eccentrico trasforma il moto rotatorio in moto alternativo. Pur giovane, è nato l'8 febbraio 1979, Brullo ha pubblicato parecchi libri, in poesia e in prosa, oltre a scoscese traduzioni bibliche. Sono libri «eccentrici», di sconcertante lettura: in altra occasione, per la scrittura di Brullo, ho parlato di glossolalia. Il nuovo libro di Davide Brullo, Titani (pp. 168, euro 12), è perfetto per inaugurare gli “Illeggibili”, la collana delle ravennati Edizioni del Girasole «che ospita testi narrativi caratterizzati dalla singolarità dello stile e dalla personalità della scrittura». Anche stavolta Brullo riesce a sorprendere: abituati ai suoi testi caleidoscopici, di scorticata fantasia, qui l'autobiografia sembra prendere il sopravvento, riversandosi apparentemente in diaristica leggibilità. Compaiono nomi di persone reali, a cominciare dai due figlioletti dello scrittore, il precocissimo Samuele che già a sette anni scriveva e pubblicava fiabe con papà, accompagnate da impensabili disegni, e la bellissima Ester, biondina intelligente.L'avverbio «apparentemente» di qualche riga sopra si riferisce sia alla «diaristica», sia alla «leggibilità»: perché, nonostante i nomi propri e il trasparente vissuto della narrazione, realismo e invenzione sono inestricabili fino allo sconcerto; e la «leggibilità» è più accessibile rispetto a precedenti testi dell'autore, ma la scrittura resta pur sempre metaforica, incentrata com'è sulla «catacresi», l'estensione retorica di una parola o di un sintagma con effetti di slogatura tridimensionale. Per esempio: «È impossibile rispondere a un amore simile all'assedio di una torma di cani gialli, torturati dal rimorso di non essere uccelli».Cani, uccelli. Sono molti gli animali che vengono in soccorso al dire di Brullo: il falco, apprezzatissimo; il lupo, giustificato nella sua fame; il serpente, temuto e inesorabile; le farfalle, in cui può dissolversi l'anima; la tigre bianca; perfino la trota: «I miei figli hanno occhi azzurri e fermi, simili alla provvisoria tana di una trota, nel fiume».La presenza dei molti animali dà alla prosa di Brullo una nobiltà araldica, con qualcosa che resta sempre da decifrare. Con trasfigurazioni domestiche tenerissime: «Mio figlio voleva dormire con le calze ai piedi. Glielo proibii e lui reagì: perché non posso dormire con le calze? Se sogno la neve, avrò freddo». Buon sangue non mente.Titani, che in copertina ha un'insolita Silenziosa disciplina n. 033, di Marcovinicio (un vaso bruno con due fiori corruschi, come due tulipani di carta), è una trilogia. Il primo racconto, Testamento, è immaginato scritto da Samuele che descrive la morte di suo padre, cioè di Brullo. Il secondo, Michele, narra in prima persona il dignitoso disfacimento del nonno che ha perso la memoria, e che il nipote, cioè Brullo, accudisce con fervore. Il terzo racconto, Antonio, è il più scopertamente autobiografico: effettivamente Brullo ha diretto per due anni un liceo di religiosi, allontanandosene per contrasti. Ma ne ha ricavato l'amicizia di frate Antonio, un saggio vegliardo in sospetto presso i superiori, che il narratore, dopo aver abbandonato moglie e figli, «rapisce» per condividere con lui un'esperienza eremitica in un santuario diroccato. È una storia complicata di fede e di eterodossia, di solitudine e di oblio, che lascia il dubbio di un eccesso di sincerità. La chiave, forse, la porge Brullo stesso, nel primo racconto: «Una storia non è l'autobiografia di chi la scrive: il suo oggetto è una verità minuscola, ma valida per ogni uomo, superiore alla minima vita di colui che scrive. Una storia è anche il sacrificio di chi la redige – il quale si elimina per far spazio ad altro e per donarsi ad altri».