Rubriche

È la scrittura che fa il racconto, e Ginevra lo sa

Cesare Cavalleri mercoledì 4 luglio 2012
Seguo Ginevra Bompiani fin dal suo primo libro, Le specie del sonno, uscito nel 1975, e da allora non ha mai deluso. Adesso torna in libreria con La stazione termale (Sellerio, pp. 160, euro 12), ed è un piacere ritrovato, perché, come una volta ha detto Geno Pampaloni (il 6 settembre 1987, per la precisione), nelle pagine di Ginevra (la chiamo per nome per evitare “la Bompiani”, e poi ha tre anni meno di me) «è la scrittura che crea il racconto, e non viceversa».Nella stazione termale del titolo ci sono due coppie femminili, che a poco a poco si imparerà a conoscere: c'è la bambina Lucy, qui con la zia che a suo tempo si chiamerà Emma; e c'è la coppia formata dalle amiche Giuseppina e Lucia: Giuseppina è una giornalista piuttosto famosa, con una vita sentimentale attiva, che incede «come un'imperatrice rallentata» per via di una temporanea stampella; Lucia, al tempo professoressa universitaria, è riservata e vagamente mascolina.Ciascuna ha un segreto, che viene svelato per gradi, in una narrazione a volte in soggettiva, a volte in terza persona, il che complica gradevolmente la lettura. Lucy, si scoprirà, è una bambina orientale, adottata da due diplomatici, e ha un ricordo sgradevole del tentativo di molestie da parte dello zio americano, marito di Emma che l'ha prontamente cacciato da casa. Lucia è reduce da un amore infelice con uno Stefano, che non riesce a dimenticare la sua giovane moglie; Emma, di cui la bambina ha scoperto gli incipit di lettere interrotte, ha addirittura il cancro, e dovrà essere operata fra poche settimane. Tutto sommato, la meno segreta è Giuseppina, probabilmente la più superficiale. Le due coppie dapprima si studiano con diffidenza, poi avviene il contatto: Giuseppina giocherà a scacchi con Lucy, Emma si confiderà con Lucia in uno slancio che, si intuisce, può andare al di là dell'amicizia. Il tutto con riservatezza, in un gioco di allusioni che svela i sentimenti delle tre donne che, in una stazione termale, cercano di esorcizzare l'incipiente vecchiaia con cure, anche cruente, del corpo (massaggi, stiramenti, lifting, tinture), nell'illusione di guarire l'anima.«L'esistenza privata di ognuno si regge sul segreto», sostiene Cechov in esergo, e il racconto è appunto un'esplorazione sintomatica di segreti. Se qui siamo andati un po' avanti rivelando qualche lato dei segreti, non derubiamo il lettore del gusto della sorpresa, perché, d'accordo con Pampaloni, anche nel nuovo romanzo di Ginevra Bompiani, «è la scrittura che crea il racconto, e non viceversa».Per chi non lo ricordasse, Ginevra è proprio la figlia del grande Valentino editore, e però ha fatto la sua strada per conto suo, insegnando letteratura inglese all'Università di Siena e, da qualche anno, dirigendo la casa editrice Nottetempo. Da anglista, Ginevra Bompiani ha ristampato Lo spazio narrante, (et.al/Edizioni, pp. 176, euro 14), tre profili molto incisivi di altrettante scrittici di vertigini quali Jane Austen, Emily, Brontë, Sylvia Plath. È la riproposta, pari pari, ma senza illustrazioni, del saggio pubblicato da La Tartaruga nel 1978, data conservata anche nella prefazione della nuova edizione. Sono tre saggi che diventano racconto, sempre in forza della scrittura. Un esempio, a proposito del tormentato rapporto di Sylvia Plath con il marito, il poeta Ted Hughes: «È proprio la forza di Hughes, della loro unione nascente e soprattutto la forza segreta di Sylvia e la possibilità, temibile, in cui per la prima volta crede, di essere tutta se stessa, a spaventarla. È la liberazione dell'eccesso, costretto dalla Forma a mangiare se stesso dentro alla sua gabbia, a provocare il grido insieme di paura e di sollievo, come il grido del gigante che si sprigiona dalla bottiglia».