Sui quotidiani dei giorni scorsi (dopo che "Avvenire" ha ripetutamente sollevato il caso) c'è stata una grande discussione sull'affitto dell'utero, contro il quale si è pronunciato, finalmente, un pubblico appello delle femministe sottoscritto da un consistente numero di autorevoli personaggi (anche molti uomini). Sono in questione il principio della priorità dei diritti del fanciullo su quelli degli adulti (soprattutto dei genitori) e quello della dignità della donna: i figli non sono cose sulle quali si possano rivendicare diritti e il corpo della donna non può essere luogo di "contratti" commerciali. Secondo Furio Colombo su Il Fatto (giovedì 10) l'Appello porterebbe «un grave danno alla maternità surrogata» e «alla felicità». Il manifesto sceglie la via di mezzo: «Sulla libertà della donna [ci vuole] un po' di cautela» e suggerisce l'ipocrita soluzione: «Denunciare l'abuso, rispettare la scelta» (mercoledì 9). Alcuni giornali preferiscono non schierarsi: si, ma, no, forse, però… Vedi la Repubblica (martedì 8), che parla dell'«industria del bambino chiavi in mano» e del «figlio on demand»: «La legge può reprimere i casi più ripugnanti, ma chi potrebbe decidere per il resto?». La Stampa teme (sabato 5 e lunedì 7) che un divieto di usare uteri altrui crei problemi per gli omosessuali e le loro nozze previste, di fatto, nella proposta di legge della Cirinnà: «All'estero è un business», ma silenzio su ciò che accadrebbe a casa nostra. Scrive, però, che bisogna «pensare a chi non ha alternative» e, in ogni caso, «agire sempre nell'interesse del neonato». Chiudiamo la lista (incompleta) con la saggezza (?) del Corriere della Sera, che se la cava con la storia di un paio di gay vanno negli Stati Uniti dove una fattrice si è procurata il «materiale genetico» necessario e, a cose fatte, conclude: «Ho messo al mondo i loro tre figli e ora siamo come una sola famiglia» (eteroenterologa). Nessuno ha mai pensato, però, di immaginare quale sarebbe il desiderio dei bambini che nascono in questo modo né di ricordarsi dei loro diritti prevalenti (leggi: trascurati).MODELLO DA NON IMITARESecondo Sergio Romano (Corriere della Sera, lunedì 7). la Francia è per noi modello anche nella laicità e nell'insegnamento: la storia delle religioni anziché la religione. Modello? Proprio quella Francia che si è data una propria «morale laica» come materia obbligatoria in tutte le scuole, anche religiose? E poi storia di quali religioni? Sarebbe una materia molteplice e complessa del tutto inadatta dalla materna alle medie inferiori e del tutto priva di docenti. Dunque proposta a effetto, ma stantìa, che non lievita, con poco senso logico e pratico. Il cattolicesimo è determinante nella storia e nella cultura italiane e l'attuale insegnamento non è catechistico, ma completa le conoscenze storiche, sociali, artistiche del Paese e aiuta a capire i grandi eventi religiosi che ne caratterizzano l'attualità.