Rubriche

Web 3.0, l'Internet di tutti: utopia o vera svolta?

Gigio Rancilio venerdì 21 gennaio 2022

Probabilmente sarà capitato di pensarlo anche a voi: come sarebbe bello avere una versione della Rete Internet «più democratica». Dove non comandano e guadagnano solo pochi giganti digitali. Questa sorta di sogno oggi sembra una realtà possibile. E risponde a una sigla che risuona sempre più forte nel mondo digitale: Web 3.0 (per alcuni, Web3).
In realtà il termine Web 3.0 è apparso per la prima volta agli inizi del 2006, cioè ben 16 anni fa. Da allora è stato usato per definire cose simili ma diverse. Il motivo per cui se ne parla ora ha a che fare con la definizione che ne ha dato nel 2014 Gavin Wood, co-fondatore della blockchain di Ethereum: «È una versione decentralizzata di Internet di proprietà sia delle aziende sia degli utenti». E dove il business sui dati degli utenti porterebbe guadagni anche alle persone comuni. In pratica ogni società che volesse usare i nostri dati per fare soldi, dovrebbe dividere i profitti con ognuno di noi.
A questo punto dobbiamo fare un salto fino agli anni Novanta, cioè al Web 1.0, quel mondo digitale dove avevamo a disposizione solo contenuti statici. Poi arrivarono gli anni 2000 e verso la metà con il Web 2.0 esplose la vera socialità. Si parlò già allora di Internet delle persone. Solo che insieme alla creatività dei singoli si svilupparono anche «ambienti chiusi», come ad esempio i social, che impararono a guadagnare sull'estrazione, l'analisi e la vendita dei dati degli utenti, per anni a insaputa delle persone e sempre senza dare loro alcunché.
La promessa del Web3, come accennato, è di cambiare le cose. «Gli utenti saranno pagati per i contributi ai siti web, l'interazione con i contenuti, gli acquisti, la visualizzazione di annunci pubblicitari e altro ancora» ha spiegato a Digiday Amanda Cassatt, co-fondatrice e CEO di Serotonin, una società di prodotti per il Web3.
Probabilmente a questo punto vi starete chiedendo: ma in che modo il Web3 è diverso dal metaverso? La risposta – necessariamente un po' semplificata, visto lo spazio a nostra disposizione – è che il Web 3.0 è uno dei fondamenti del metaverso. Il quale «è costituito da più piattaforme, come Roblox, Horizon di Meta e Fortnite, e ciascuna di queste utilizza la Rete Internet decentralizzata basata su blockchain». Per funzionare il Web 3.0 ha infatti bisogno di una blockchain, cioè – come spiega Wikipedia – «di una struttura dati condivisa e “immutabile” che forma un registro digitale le cui voci sono raggruppate in blocchi, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall'uso della crittografia».
Ci aspetta un futuro digitale radioso, quindi? A dare retta a Matthew Rosenfeld, creatore di Signal, l'app di messaggistica famosa per la sua estrema attenzione alla privacy e alla sicurezza, le cose non sarebbero così rosee. «Web3 è un termine alquanto ambiguo, ma la tesi generale è che dovrebbe darci la ricchezza del Web2 ma decentralizzata. Ci sono però diversi ostacoli tecnici e vecchie avidità». La democratizzazione dell'Internet – secondo il creatore di Signal – «potrebbe avvenire solo se ogni utente avesse un nodo blockchain nel proprio pc e/o nel proprio smartphone. Ma è troppo complicato». Quindi sono nate aziende che vendono l'accesso ai nodi. E così si torna da capo. Il potere e i guadagni rischiano di rimanere nelle mani di pochi e la promessa di un'Internet più democratica potrebbe essere diversa da come promettono.