“Volevo tacere”, poi Márai dice la sua sull'Ungheria e il nazismo
All'epoca dell'Anschluss, Márai era un acclamato scrittore e giornalista trentottenne, accolto nei salotti dell'aristocrazia benché di estrazione borghese, fedele a un metodo di lavoro che gli imponeva di scrivere ogni mattina trentacinque righe – prima in matita, poi a macchina – la cui sistematicità si era già tradotta in svariati volumi. Nonostante tutto, la vita in Ungheria – ancora pesantemente classista, con un forte potere dei latifondisti – scorreva in apparente normalità, mentre un grave lutto colpì lo scrittore: «In quei mesi io fui colpito da un grande dolore personale: morì il bambino che avevamo avuto dopo la penosa attesa di lunghi anni di matrimonio sterile, e con il suo funerale ebbe inizio un processo di cui avrei preso coscienza solo molto tempo più tardi. Chi non ha mai sepolto il proprio figlio non può capire. Fu come ricevere un vaccino contro il dolore, un vaccino che mi immunizzava contro ogni grande, primario senso di perdita percepibile da un essere umano». Bastano queste righe per cogliere qualità della scrittura di Márai, la sua profondità umana, la virile malinconia con cui contemplava le sorti del mondo. E Volevo tacere è il libro di un grande scrittore che si fa storico senza smettere di essere scrittore. Quando il primo ministro Pál Teleki seppe che le truppe sovietiche avevano attraversato i confini ungheresi per precipitarsi a invadere la Jugoslavia, senza avvertire il governo ungherese, nelle stesse ore fu anche informato «che la moglie, per la quale nutriva un profondo, fervido amore, soffriva di una malattia mortale, incurabile. Una volta apprese le due notizie, salutò la moglie in clinica per l'ultima volta, poi salì alla Fortezza, si chiuse nei suoi appartamenti ministeriali e si sparò alla testa. Morì sul colpo».
Márai auspicava un ruolo per la «borghesia umanista» che seppe «traghettare il mondo dalle sponde del feudalesimo a quelle del parlamentarismo costituzionale, del liberalismo e del sistema di produzione capitalista» e si domandava se quanto rimane di tale spirito «possa guidare le masse contemporanee dal capitalismo a un socialismo occidentale a misura d'uomo, costruito sui veri fondamenti del cristianesimo». La domanda è tuttora aperta. Lo scrittore concluse negli Stati Uniti il suo esilio e, affranto per la morte dell'adorata moglie, si sparò un colpo di fucile il 22 febbraio 1989. Aveva 89 anni.