Rubriche

Vlahovic cuore ingrato e il male oscuro di Ilicic

Massimiliano Castellani sabato 29 gennaio 2022
«Superare quel che di meschino e illusorio impedisce di essere liberi e felici, ecco lo scopo e il senso della nostra vita», insegna Anton Cechov ne Il Giardino dei ciliegi, parole che valgono anche per un'altra commedia come quella del pallone, con i due atti, per noi principali, della settimana. Atto primo. A Firenze fine della farsa di Dusan Vlahovic. Il patron paisà Commisso, che aveva promesso stadio nuovo, ricchi premi, cotillon e una Fiorentina da scudetto, si priva anche della sua stella più radiosa. Una proposta indecente quella della Juventus, irrifiutabile, oltre 70 milioni di euro, con i più bravi nel fare di conto che sparano fino 120 milioni. Il portafoglio sì sa, sta solo fisicamente dalla parte del cuore, e il calciatore moderno va dove lo porta l'ingaggio: 7 milioni a stagione per cominciare quelli che la Juve passerà al cuore ingrato Vlahovic. E così il serbo se ne va. E tutta Firenze serba rancore, per sempre. «Mercenario moderno, nemico eterno», lo slogan più raffinato apparso sui muri della città di Dante, l'unico illustre esule fiorentino che non è fuggito attratto dalle sirene della Juve, ma solo perché la Vecchia Signora non c'era ancora. Torniamo allo psicodramma “collettivo viola”. Questo di Vlahovic, per la tifoseria della Fiorentina rappresenta il peggior tradimento dai tempi di Roby Baggio che, parola sua «feci di tutto per restare». Dusan invece prende i soldi e scappa e allora il tifoso – sindaco Nardella compreso – diventa viola di rabbia. La deriva razzista però non è materiale da Striscia lo striscione di Cristiano Militello: in riva all'Arno risciacquano sporchi drappi anti-Dusan, tipo «le tue guardie non ti salveranno la vita, zingaro per te è finita». Siamo alle minacce di morte, quindi meglio passare all'atto secondo. C'è un altro ex viola, Josip Ilicic (quattro anni alla Fiorentina, 105 presenze e 29 gol) ora all'Atalanta, che è minacciato, ma dal male oscuro. Gigi Riva, omonimo del Rombo di Tuono cagliaritano, fuoriclasse anche lui di storie di cuoio (leggere il suo L'ultimo rigore di Faruk. Una storia di calcio e di guerra – Sellerio – ) ha scritto un pezzo-lettera aperta sul “Corriere della Sera” in cui fotografa l'anima del calciatore colpito, per la seconda volta durante la pandemia, da quel malessere che lo rende indisponibile alla convocazione di Gasperini. Riva sa quali sono i «demoni» di Ilicic, al quale dice con il cuore in mano: «Caro Josip, lei è nato a Prijedor, nord della Bosnia, il 29 gennaio del 1988, fra poco compirà 34 anni. Perse il padre, croato, quando aveva pochi mesi, ucciso da un vicino serbo quando i tamburi di guerra erano ancora una lontana eco all'orizzonte. Sua madre decise di trasferirsi in Slovenia rifugio di tanti profughi ex jugoslavi. È immaginabile che il fantasma di Prijedor le sia rimasto inciso come una ferita che ancora sanguina e che i suoi successi sportivi non sono riusciti a suturare». Che il calcio e l'amore del popolo degli stadi aiuti Ilicic a smarcarsi da tutti i suoi fantasmi.