L'export alimentare nazionale va sempre meglio, ma in futuro potrebbe essere ancora più difficile di oggi. È la cronaca economica di questi ultimi giorni a portare notizie di segno diverso.L'Ismea ha segnalato che nel primo trimestre del 2014 le vendite oltre confine di prodotti agroalimentari hanno chiuso con uno scatto in avanti dell'1,9% in valore, sintesi dell'incremento del 2,2% della componente industriale e del più 0,6% della fase agricola. In particolare, è stato registrato un deciso cambio di passo per formaggi, salumi e frutta che hanno segnato un aumento delle vendite oltre frontiera rispettivamente del 7,9%, del 6,5% e del 7% sui primi tre mesi dello scorso anno. Bene soprattutto per i grana (+2,7%), mentre accelerano il Gorgonzola (+7,9%) e il Pecorino/Fiore sardo (+27%). Tra le preparazioni suine, invece, avanzano soprattutto prosciutti e speck, in crescita del 9%. Ottime anche le vendite delle preparazioni ortofrutticole (+2,4%). Meno bene altri prodotti come la pasta e gli ortaggi freschi.L'estero – spiega l'Ismea – resta un'importante valvola di sfogo per la produzione agroalimentare italiana, in una fase di prolungata contrazione degli acquisti alimentari sul mercato interno: nei primi cinque mesi di quest'anno la flessione della spesa in generi alimentari è stata dell'1,4%.Proprio sul fronte estero, tuttavia, si sta profilando da tempo un problema in più: quello della numerosità degli importatori e della selezione del prodotto conseguente. Il caso più importante – e preoccupante – è certamente quello del vino negli Usa. Winenews.it, l'agenzia specializzata nelle informazioni e nelle analisi sul settore vitivinicolo, segnala infatti la diminuzione del numero di aziende d'importazione di vini negli States. Alla base del fenomeno, la crisi economica che ha colpito duro anche oltre oceano e la necessità di avere sempre maggiori dimensioni per poter competere a livello mondale.L'ultimo caso del genere,segnalato dall''Italian Wine & Food Institute, è stato la fusione fra due noti importatori di vini italianiWinebow e The Vintner Group, che ha dato luogo al The Winebow Group, assurto a vero e proprio "colosso" dell'importazione da 1.200 dipendenti e 600 milioni di dollari di fatturato, operante in 15 Stati Usa, che rappresentano più del 50% dei consumi di vino negli Usa. Il risultato? Questo tipo di aziende cancella oppure congela i rapporti con quelle aziende italiane – spesso piccole –, i cui prodotti hanno minori possibilità sul mercato Usa, mentre non ha alcun interesse ad acquisire altri produttori. Insomma, per i nostri prodotti le sfide sui mercati del mondo sono tutt'altro che esaurite.