Quando pensiamo all'ebraismo, ce lo rappresentiamo come una religione priva di immagini, in obbedienza al divieto espresso nel libro dell'Esodo: «non ti farai idolo né immagine alcuna». L'avvicinamento all'arte figurativa sarebbe stato una conseguenza del passaggio alla modernità, dovuto o all'influsso della cultura esterna o all'allontanamento dall'osservanza dei precetti. Eppure… Nello stesso libro dell'Esodo si descrivono le due statue d'oro di cherubini da porre nell'arca dell'alleanza, il luogo stesso della presenza di Dio. E meravigliosi dipinti illustrano le storie bibliche nelle antiche sinagoghe, come quella del III secolo d.C. di Dura Europos, in Mesopotamia. E le immagini sono tradizionalmente presenti tanto nel rotolo di Ester, letto a Purim, che nell'Haggadah di Pesah, letto nella cena pasquale ebraica. E se nel periodo del secondo Tempio le immagini sono totalmente assenti, nel periodo successivo alla caduta del Tempio appare un'apertura all'immagine, anche umana, che trova conferma nelle discussioni del Talmud. A proibire la raffigurazione, secondo molti antichi rabbini, non sarebbe tanto l'immagine in sé, quanto la possibilità del suo uso idolatrico. Tanto più i rabbini temevano l'idolatria, tanto più forte diveniva la proibizione delle immagini.