Dapprima alle prese con la candidatura a sindaco di Roma, poi con la realizzazione del film autoriale e drammatico su un amore impossibile e ora con la kermesse canora di Sanremo: Carlo Verdone, nella stagione numero 3 del suo Vita da Carlo (dieci episodi di mezz’ora ciascuno prodotti da Luigi e Aurelio De Laurentiis di cui i primi cinque già disponibili su Paramount+ mentre gli ultimi cinque verranno rilasciati il 23 novembre) immagina di essere chiamato alla direzione artistica e alla conduzione del Festival della canzone italiana, mentre intorno a lui i familiari, gli amici e i colleghi continuano a subissarlo di richieste e a creargli problemi: la figlia Maddalena (Caterina De Angelis) che non cura troppo il figlio di pochi mesi, un genero disoccupato (Antonio Bannò), un’ex moglie (Monica Guerritore) sempre presente insieme all’ex amante (Stefania Rocca), la fidanzata impossibile dell’altro figlio (Filippo Contri), una governante vegana e ludopatica (Maria Paiato), un vicino di casa invadente e schizzato come Maccio Capatonda e una co-conduttrice di Sanremo confusionaria come Ema Stokholma. A dargli una mano restano solo in due: Roberto D’Agostino e Giovanni Esposito, che come Capatonda e Stokholma, ma anche tanti altri (Gianna Nannini, Nino D’Angelo, Gianni Morandi, Zucchero, Serena Dandini, Lucio Corsi…), interpretano se stessi. Anche Verdone (che condivide la regia con Valerio Vestoso e la scrittura con Pasquale Plastino e Luca Mastrogiovanni, che già stanno lavorando alla quarta stagione) interpreta ovviamente se stesso e ancora una volta sembra identificarsi con il suo personaggio dando quasi l’impressione che non distingua più il Carlo reale dal Carlo della finzione. Sarà anche per questo che con il suo stile tra l’ironico e il malinconico, tra comicità e intimismo, rifacendosi almeno in parte a fatti reali sia pure reinterpretati in modo paradossale e romanzato e situazioni esasperate per l’occasione, si toglie qualche sassolino dalla scarpa sulla città di Roma, sull’ambiente dello spettacolo, sul giornalismo, sulla fragilità dei giovani (ma anche sulla loro difficoltà a trovare un lavoro dignitoso e poter mettere su famiglia), sul pericolo del gioco d’azzardo, sui social, su Elon Musk in tempi non sospetti, sull’identità di genere e persino sulle serie tv. Alcune sequenze sono un po’ forzate (la serata degli scambisti, l’arredamento e gli oggetti della presunta casa di Roberto D’Agostino), alcuni personaggi appaiono (anche se volutamente) grotteschi e sopra le righe, qualche gag è inserita a riempitivo (l’imitazione del prete), ma ancora una volta, come del resto ha sempre fatto con il suo cinema, Verdone racconta con sguardo acuto e dissacrante i cambiamenti della società e del costume degli italiani, anche perché, come dice lui, «la vita per buona parte è tutta una commedia».
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