Shelley, il poeta che parlava con il vento occidentale, e che si rivolgeva all’allodola come suo irraggiungibile maestro, sempre scrutando in alto, nel mondo del cielo, si immedesimò nella nuvola. Non si rivolge a lei dandole del tu, come al piccolo alato e al vento occidentale. Si immedesima in lei, come Shakespeare fa con i suoi personaggi, divenendo Amleto, Giulietta, Otello...così Shelley fece con un personaggio del cielo, la nuvola. Io porto freschi acquazzoni per i fiori assetati, attingendone la sostanza umida dai corsi d’acqua e dai mari. Da me stillano le rugiade che svegliano i boccioli, io muovo con il mio flagello la grandine sferzante, e imbianco di brina le verdi pianure, per poi dissolvermi in pioggia: agisco sulla terra dal cielo, dal cielo attingo al bacino dei mari e dei fiumi.
Io, nuvola, setaccio la neve sui monti. Su di me, il lampo, sotto, in una grotta, è incatenato il tuono. Io custodisco i loro segreti che guidano la mia essenza nelle profondità del mare, sui ruscelli, sulle rocce, le colline, i laghi...
Nei versi che sto narrando parla il poeta fatto nuvola.
L’uomo che oggi si rende conto di avere ferito a morte la natura, non può limitarsi, per salvarla e salvarsi, alla cosmetica: deve ritornare a parlare con la sua anima, come ci insegna il poeta.
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