Vendetta immaginaria e promesse pericolose
La vendetta è un piatto che si serve freddo, e questo ci dà tempo per tornare in noi stessi, ragionare e cercare altre vie per ottenere giustizia. Un piatto freddissimo è quello imbastito da Edmond Dantés nel più celebre romanzo la cui trama è mossa, scossa e portata a compimento dalla brama di vendetta, Il conte di Montecristo. Dantès subisce le peggiori angherie: perde il posto di capitano della nave, gli rubano la fidanzata, lo accusano falsamente di tradimento e lo seppelliscono in una prigione. Impiegherà 24 anni a vendicarsi.
Romanzi e film con al centro la vendetta sono innumerevoli. Negli ultimi anni i coreani hanno fatto compiere un balzo in avanti, quanto a spietata efferatezza, al genere, con la trilogia della vendetta di Park Chan-wook (nel 20014 il suo Old Boy fu premiato a Cannes) e il terrificante I Saw the Devil (2010) di Jee-Woon Kim. Qui la vendetta è assoluta: il Dantès di turno tortura il suo carnefice senza fine. L'Oriente ci supera? Mica vero. Basta pensare al Borghese piccolo piccolo di Alberto Sordi o alle infinite vendette dei western, a cominciare da Armonica, il pistolero interpretato da Charles Bronson in C'era una volta il West di Sergio Leone. O alle tremende vendette di Quentin Tarantino.
Innumerevoli vendette rappresentate possono indurci alla vendetta? Sono una scuola per aspiranti vendicatori? In realtà, è il contrario. La vendetta alligna dentro di noi, cerca di emergere e, per contenerla, niente è meglio di una entusiasmante catarsi liberatoria, assistendo alla rappresentazione fantastica di una vendetta, sulle pagine di un libro o su uno schermo, come a proposito di Montecristo aveva già intuito Antonio Gramsci: «Quale uomo del popolo non crede di aver subito un'ingiustizia dai potenti e non fantastica sulla "punizione" da infliggere loro?».
Il conte di Montecristo fu scritto da Alexandre Dumas, che si limitò a raccontare vendette immaginarie. Accade oggidì che ci sia chi organizza vendette collettive assai più concrete manipolando il consenso popolare. Lo spirito di vendetta appartiene a tutti; le persone consapevoli lo tengono a bada; molti altri non vedono l'ora di punire i responsabili, veri o presunti, dei propri mali, veri o presunti. Basta dir loro: le cose vanno male e siete infelici per colpa di quelli là, ma potete vendicarvi votando me. Elementare, perfino banale. Eppure, funziona. La nostra vita sociale e politica è pervasa di vendetta. Ne è avvelenata. E la vendetta, per molti, diventa un'ossessione distruttiva da cui non si guarisce. Ricordava Francis Bacon: «L'uomo che coltiva per tutta la vita la propria vendetta mantiene le sue ferite sempre aperte». E finché restano aperte, quell'uomo è facilmente manipolabile.