Vecchissima politica nel giovane Sahel
La democrazia è troppo importante per lasciarla nelle mani dei politici. Senza cadere nella fin troppo citata retorica del potere del popolo, col popolo e per il popolo, si tratta anzitutto di domandarsi dove si trovi e chi sia "il popolo". E soprattutto di interrogarsi sul senso stesso della democrazia quando, non solo in questa parte del mondo, le competizioni elettorali sono assai simili a campagne militari. Il potere politico svuotato dalla politica, intesa come umile ricerca del bene comune e cioè salvaguardia dei diritti dei poveri, svela un volto violento e cinico che, come in uno specchio, rimanda l'immagine del mondo diviso nel quale ci troviamo a vivere. I comuni cittadini, per scelta o per noncuranza, accettano di essere trattati come una mercanzia, mero oggetto di scambio elettorale tra politici. Permettono così che sia confiscata la loro dignità umana, unica realtà non negoziabile, e consentono che un gruppo di persone, da anni, si accaparri la gestione esclusiva, venale e criminale della Cosa Pubblica in tutta impunità.
In troppi Paesi del Sahel e dell'Africa Occidentale, sono le stesse persone che, da decenni e col beneplacito della comunità internazionale, si accaparrano la scena. Costa d'Avorio, Togo, Guinea, Ciad, Nigeria, Niger presentano le stesse figure politiche riviste, corrette, consigliate e in definitiva imposte nell'assordante silenzio dei cittadini. Questi ultimi sono, per buona parte, tenuti in ostaggio dalla miseria e troppo occupati dal quotidiano sopravvivere per partecipare alla vita pubblica. Ma siamo, in Niger, età media stimata 16 anni, il più giovane Paese del mondo, e non ci dovremmo permettere una vecchissima politica basata sulla compravendita del consenso dei cittadini. La costruzione del tessuto politico del Paese deve andare di pari passo con l'affermazione di una società che si specchi nella Costituzione e nei suoi princìpi di sovranità popolare, sacralità della vita e giustizia sociale. Il rischio, se non si seguiranno queste o altre piste simili, sarà di passare da una democrazia "autoritaria", come ci classifica l'"Economist", a una democrazia "bananiera" o "tropicalizzata", dove i golpe militari sono il pretesto per "rigenerare" la politica. Anche questa è sabbia.
Niamey, 28 febbraio 2021