Paul Valéry: ovvero, anche in poesia, il primato dell’intelligenza. Tutta la sua vicenda di scrittore si riassume in questo. La consapevolezza esercitata come vigile testimone di ogni processo mentale, fino al punto di condurre la poesia verso il silenzio. Più che al prodotto poetico, Valéry guardava al percorso attraverso cui la poesia può avvenire, si realizza o no. Ecco la frase dei suoi Quaderni con la quale la curatrice delle Opere scelte (Meridiani Mondadori), Maria Teresa Giaveri, apre il suo saggio introduttivo: «Amo il pensiero autentico come altri amano il nudo, che disegnerebbero per tutta la vita». Autenticità, nudità, pensiero: questo accostamento mostra subito la compenetrazione nella mente di Valéry fra etica intellettuale, costanza introspettiva e percettività fisica. Forse nessuno dei suoi predecessori, neppure Edgar Poe, Baudelaire e Mallarmé, è stato impegnato in modo così esclusivo e rischioso a coltivare la propria autocoscienza, a svilupparne i poteri fino alla sterilità. Dopo aver scritto qualche poesia, appena ventenne Valéry decide di smettere: «Le mie poesie taceranno – scrive nel 1892 a Gide – e il loro ronzio di mosche inutili non verrà a turbare i miei lenti passi». Si dedica alla riflessione filosofica e matematica, allo studio delle scienze esatte e non pubblica più versi. Quando riemergerà, nel 1922, sarà come autore di Charmes, culmine sia del simbolismo che del classicismo francese, un classicismo paradossale, duro come un cristallo, inarrivabile modello di “poesia pura”. Ma Valéry è anche un grande saggista, uno dei maggiori nella prima metà del Novecento. La sua vicenda interiore è esemplare e radicale. In ambito letterario può far pensare a quelle di Kafka e Musil, anche loro assidui compilatori di diari che leggiamo come classici della letteratura. «Tutto il mio lavoro naturale, quello della mia natura – e che ho eseguito per tutta la vita, a partire dai 20 anni, non consiste che in una specie di preparazione perpetua, senza oggetto, senza finalità, orientata in direzione di una crescita della coscienza». Scrivendo questo Valéry dichiara che la sua poesia, proprio perché così pura, mira a un aldilà o un aldiquà della poesia.