Dalle radio alle tivù, ogni giorno, va in onda la cronaca di “un'Italia che scopre l'Italia”, ossia le vacanze autoctone che ci hanno condotti alla scoperta di borghi, paesi, città, ognuna con le sue tracce di storia. Vitorchiano, a dieci chilometri da Viterbo, è uno dei borghi più belli d'Italia e la sua origine porta la data del XI secolo a.C.. Se entri sotto l'arco si apre un borgo raccolto con diverse chiese nel raggio di pochi metri, ma anche negozi (persino un laboratorio di ceramiche) e un'ottima gelateria. La gente gira con la mascherina e nei negozi sembrano tutti più gentili, benché rigorosi nel chiedere. A pochi chilometri dal centro sorge il monastero delle trappiste: 70 monache che seguono la regola di san Benedetto dell'ora et labora. E fra i vari lavori che svolgono c'è la produzione di confetture, che le hanno rese famose nei negozi di cose buone di tutta Italia. Le conosco da 40 anni e l'incontro con loro è un regalo, non solo perché vogliono sempre condividere una nuova idea produttiva, ancora più alla vigilia di aprire un monastero in Portogallo, ma per come appaiono: solari, stupite di ogni cosa, premurose ed esigenti nella perizia dei prodotti. Alle 18 il dialogo si interrompe per la recita del vespero, ma quelle preghiere che sembrano fatte con una voce sola, non paiono affatto un'interruzione, piuttosto la continuazione di ciò che avevamo vissuto poco prima: la vita, il lavoro, le cose belle e le preoccupazioni. Mi ha colpito, ascoltando le invocazioni del vespero, quel loro appello all'unità, come se il paradigma della vita dovesse essere quella voce sola frutto della personalità di ciascuna. Hanno pregato per l'unità della Chiesa, del loro monastero e per il nostro Paese. Mentre vivevo quei momenti di “vacanza”, pensavo che l'unità è un valore scarsamente evocato, mentre prevale sempre qualcosa che divide. Nel suo saluto al Meeting di Rimini il presidente Mattarella ha puntato sul punto più alto di unità, quello dell'Unione Europea, parlando di un cambiamento di rotta scaturito dalla capacità di rispondere alla pandemia e di progettare la ripartenza. Un segnale interessante, perché in questo saluto si è parlato sia della necessità di un progetto sia dell'unità di intenti, condizione per metterci al riparo da un fallimento. Al che ho pensato alle monache di Vitorchiano, che offrono il loro lavoro per queste preghiere; mentre noi possiamo solo desiderare di tendere, come modo di pensare, a quell'unità.