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Va in scena l'anima, insieme alle nostre domande

Marco Voleri giovedì 22 novembre 2018
Marco Voleri
«Avete fatto un corpo. Ora dovete fare un'anima». Il monologo di Giacomo Poretti – in scena a Milano fino a domenica – parte da una frase sussurratagli all'orecchio proprio il giorno che nacque suo figlio. Una frase che deve essergli ronzata in testa per così tanto tempo da costruirci un intero monologo teatrale. Giacomo, davanti a quel paravento ospedaliero con sedie bianche, è ognuno di noi. Riflette a voce alta accanto ad un distributore d'acqua, col bicchiere in mano. In un crescendo fatto di battute chiaroscure, che diventano un ponte sulla vita quotidiana, si chiede cosa serva al giorno d'oggi per fare un'anima. Cerca risposte in quelle che sono divenute, nella società moderna, certezze quasi assolute. Social, tecnologia, gli algoritmi dell'e-commerce. Ma soprattutto, a cosa serve l'anima? Qual è la sua unità di misura?
Il Poretti-pensiero è un travolgente misto tra comicità genuina e provocazioni profonde, quasi in stile gaberiano. Parlando di anima l'attore dedica uno spazio all'importanza della parola. Con un abile gioco di luci, fa un delicato omaggio alle parole dimenticate, male usate o abusate del nostro vocabolario, come se anche loro avessero un'anima che gli fa provare emozioni. La stessa parola "anima" rischia di morire, prima o poi, solinga e svuotata della sua energia. «A pensarci bene, a cosa serve oggi l'anima? – sbotta Poretti –. Non è utile per fare gli acquisti online, non si vede nemmeno con una radiografia o una risonanza magnetica». Diventa piccola e fragile, sebbene al centro della riflessione filosofica di eccelsi menti del passato e del presente. L'anima non si tocca con mano, non si vede a occhio nudo, non ci scivola addosso. È immateriale come un'amicizia ventennale, come l'amore smisurato per un figlio, come il dolore che si prova davanti alla bara di un genitore. Dunque tutte queste cose non esistono perché immateriali?
Il monologo è quasi un grido disperato verso la ricerca del pensiero profondo, del sentimento vero, della volontà di distinguerci dagli assistenti vocali che ormai fanno parte nella nostra vita, con le loro voci inespressive. Fare un'anima è la riflessione di un attore sessantenne che usa ancora una volta il palco come strumento di meditazione introspettiva. L'anima, come un fiore, va innaffiata ogni giorno. Senza aspettarci che bussi il corriere dopo un giorno con un pacco.