uomini e grandi uomini
a sorpresa ci affidiamo a un personaggio che non ha certo intrattenuto buoni rapporti col cristianesimo, Voltaire (1697-1778), il famoso filosofo illuminista francese. Eppure la sua osservazione ci permette di esaltare un atto che dovremmo praticare proprio in questo periodo, il riconoscimento delle colpe, la confessione degli errori perpetrati. È suggestiva la sua distinzione tra uomini e grandi uomini: la linea di demarcazione che introduce nella grandezza è quella dell'umiltà, della franchezza, della modestia. Al contrario, l'alterigia e l'arroganza sono la linea di confine che ci porta nel territorio della piccineria, della meschinità, della grettezza. Certo, riconoscere di essersi sbagliati costa, è una frustata inflitta al proprio io, è una ferita sanguinante inferta all'orgoglio. Eppure, come diceva Gandhi, «è bene confessare i propri errori perché ci si ritrova più forti». Questo esercizio per il credente acquista poi una dimensione più alta perché, come scriveva san Pietro nella sua Prima Lettera, «Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili» (5, 5). La confessione sacramentale è proprio questo affidare a Dio l'errore e la colpa per essere accolti e purificati. Già nell'Antico Testamento un sapiente come il Siracide esortava: «Quanto più sei grande, tanto più umiliati: così troverai grazia davanti al Signore» (3, 18). Il grande uomo è colui che segue la via indicata da san Paolo: «Ognuno di voi con tutta umiltà consideri gli altri superiori a se stesso» (Filippesi
2, 3).