Nell’era digitale tutto ha un nome, anche quello che esisteva già prima e designavamo solo per via di perifrasi. Avete presente quando, ai tempi della pellicola, ci si preoccupava che il passaggio di un intruso rovinasse una fotografia? Bene, quello era il photobombing e ancora non ce ne rendevamo conto. Il termine appare in inglese attorno al 2008 e si diffonde rapidamente, tenendo il passo della proliferazione delle immagini online. La “bomba” può assumere forme diverse: è l’animale che si piazza davanti all’obiettivo oscurando il sorriso di un turista, è l’invitato che sbadiglia mentre gli sposi tagliano la torta oppure il bagnante che sbuca spaesato sulla spiaggia mentre una ragazza si pavoneggia in costume. I photobomber sono dappertutto, insospettabili e inarrestabili. Ciascuno di noi può aspirare al ruolo di comparsa inopportuna ed è molto probabile che, almeno una volta, ci sia effettivamente capitato di usurpare uno spazio che non ci era destinato. Ma il photobomber non va disprezzato. Nel suo piccolo, esercita la stessa funzione del fatidico «strappo nel cielo di carta» sul quale Luigi Pirandello si dilunga nel Fu Mattia Pascal. È la realtà che smaschera la finzione, l’ironia che si prende gioco della supponenza, l’inaspettato che sconvolge piani e previsioni.
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