Timisoara, una città della Romania ancora a misura d'uomo dove le piazze, coronate da antichi palazzi, conservano del loro tempo il fascino delle cose appena sfiorate dal numero degli anni trascorsi. Timisoara cerca un compenso al proprio desiderio di libertà, pagato con profonde sofferenze, nel cercare quella solidarietà che dovrebbe essere la ragione prima dell'unione dei popoli d'Europa. L'associazione dei giornalisti europei ha voluto celebrare la festa dell'Unità proponendo il tema: «Speranza d'Europa, i giovani cercano nuove strade per il loro futuro». Al di là delle relazioni degli oratori, tra i quali spiccava il nome di un nipote di Adenauer, il vero protagonista fu il mondo dell'università che partecipò alle riunioni con reale interesse. Ma l'aula magna certo non si aspettava, l'ultimo giorno del congresso, lo spettacolo nuovo quando salirono sui suoi banchi quattrocento bambini delle scuole elementari. Erano partiti dalla grande piazza del centro tenendo alti i palloncini blu con la scritta «Europa», che sembravano coprire il cielo. Poi in colonna ridendo e gridando avevano attraversato le più belle strade della città. «Chi sono?», diceva la gente nel vederli passare e distribuire volantini, orgogliosi del loro camminare cantando: «Viva Europa, viva Europa». Mentre cercavo di seguirli pensavo al coraggio, alla fantasia e alla fatica dei loro nonni e genitori i quali, attraverso alterne vicende, avevano sperato e poi creduto di raggiungere velocemente la costruzione di questa patria comune. Ma sarà di questi piccoli la vittoria sull'egoismo dei nazionalismi mai spenti, sulla cecità di chi non guarda al di sopra dei vantaggi del proprio Paese, sull'individualismo risorgente, sulle promesse non mantenute? Saranno questi bambini che si danno la mano per avere coraggio di combattere le violenze che offre il nostro mondo quando ruba loro l'innocenza? Tanto si dovrà aspettare? Diamo loro la più vasta conoscenza delle cose del mondo e consegniamo nelle loro piccole mani la nostra storia, ma rendiamoli capaci di passioni alte e non portiamo via loro i sogni che danno dignità alla vita. Dai banchi dell'aula essi avevano scelto a rappresentarli due di dieci anni, assistiti da due bambine della stessa età ai quali venne dato il titolo di presidente e vicepresidente dell'assemblea. Le domande fatte ai giornalisti presenti erano di questo tipo: «Cosa fa l'Europa per fermare la violenza contro i bambini come noi? Cosa fa l'Europa quando un padre non ha lavoro e noi ci troviamo sulla strada con la fame e senza niente? Cosa ricade su di noi bambini delle leggi che fa il Parlamento europeo? Nessuno ce lo racconta». I giornalisti rispondevano, ma con qualche perplessità. Forse si chiedevano se era loro compito riferire ai propri giornali solo i fatti, oppure sostenere con le loro parole ancora una battaglia affinché la politica che sembra aver perduto la passione, rinunciato a troppi ideali, venga di nuovo sospinta dall'opinione pubblica a riprendere quello spirito e quell'anima che la nostra unità europea sembra avere perduto.