Arrivi al palasport e leggi «Sempre Nomadi». E pensi: come sono retorici, gli striscioni da concerto. Poi guardi la scaletta, i Nomadi stanno cantando Una storia da raccontare. «La casa gli amori gli amici, l'ultimo libro sul comodino, il ricordo dei giorni felici, il mare il cielo i colori il vino…» E intorno a loro lo gridano pure, «Sempre Nomadi!». Mah: ci sarà un motivo. Sul palco graffiano le chitarre per il refrain. «C'è un'altra storia da dire, una favola da colorare, un amore che non può finire, una pagina da inventare…» Ti volti e ancora leggi «Sempre Nomadi». E subito ti arriva addosso il finale del brano… Che cosa cantano adesso? «Il sole passava le sbarre riscaldando l'ultimo giorno, quello più lungo di un condannato… La luce inventava l'ombra e suggeriva il suo desiderio, diventare domani luce, svanire nel nulla e nel mistero». Adesso le parole graffiano, più delle chitarre. «C'è un'altra storia da dire, un uomo che presto andrà a morire! … Domani sarà un altro giorno, con uno di meno su questo mondo, e una sedia che scaricherà rabbia e violenza in un solo secondo… E domani sarà morte amara, omicidio legalizzato, ingiustizia chiamata legge, un boia di nero mascherato!». Leggi e rileggi quel «Sempre Nomadi» e sorridi: hai capito l'origine di tanto amore per un vecchio, tenace, splendente gruppo musicale.