Alla vigilia di un Mondiale si va per memorie. Scritte o vissute. Io c'ero e ricordo. Ho raccontato - inviato per dire, con il cielo esotico in una disadorna stanza di redazione - Cile '62, Inghilterra '66 e Messico '70. Poi mi son fatto davvero gli altri dieci, dal '74 al 2010, scarpinando per il mondo e battendo i tasti di un'Olivetti prima e di un Mac dopo: storie inquiete e felici, due volte Campione del Mondo. Ed ecco il Brasile Due. Il primo me lo raccontò con amarezza il mio capo a “Stadio”, Aldo Bardelli, quello che aveva guidato la Nazionale a Brasile '50 portandola fin lì in nave perché un anno prima c'era stata la tragedia di Superga. E perché aveva una fifa matta dell'aereo. La sensazioni di una vigilia sono presto riassunte in un dato inconfutabile: quando lasciavamo l'Italia convinti di poter assaporare il terzo trionfo (splendida nel premondiale la Nazionale di Fabbri che fu azzannata nel '66 dalla Corea del Nord, ricca di Grandi Firme l'Italia di Valcareggi demolita nel '74 dalla mediocre Polonia) finivamo bastonati; quando il viatico degli azzurri era pane e veleno tornavamo campioni (1982 e 2006) o secondi dietro l'eterno Brasile ('70 e '94). Oggi gli scribi e gli aruspici indagano il cielo e aspettano di sapere non tanto dalla competenza quanto dal volo degli uccelli (leggi casualità) come finirà quest'ultima avventura non preceduta da esibizioni esaltanti né da polemiche devastanti. L'Italia è una squadra normale, composta di giocatori normali e guidata da un tecnico normale. Lo confermano i normalissimi convocati dell'ultim'ora, Darmian e Insigne, e la nomea di “speciali” attribuita a Buffon, Pirlo, Cassano e Balotelli: i primi due, improvvisamente assenti per infortunio, lasciarono a Lippi, in Sudafrica, una squadra anonima e tremebonda; la coppia di Bad Boys ci rallegrò all'Europeo. Tutt'insieme, i ragazzi di Prandelli mi danno fiducia proprio perché rivelano concretezza nell'umiltà. E passione di gruppo quando, sollecitati da De Rossi più che mai Capitan Futuro, giurano che giocheranno anche per Montolivo e Rossi. Durissima la sorte toccata a Montolivo, definito chiave tattica del gioco di Prandelli, oggi forse convinto - come penso da tempo - a giocare “a quattro”. Amarissima la rinuncia a Pepito che avrei voluto vedere in campo là dove servissero colpi di magia, gol da fare invidia ai brasiliani. «Starò davanti alla tivù - ha detto - e tiferò per gli azzurri». Già: io l'avrei portato, in Brasile, per un debito morale e un sogno di successo. Ma forse è normale anche non voler correre rischi. Il Mondiale non è solo un'avventura, è anche un affare. M'è venuta alla mente una struggente poesia di un altro Rossi, che cito non per giovanilismo - siamo invecchiati insieme, Vasco e io - ma perché cambiano anche i poeti: «E adesso che sono arrivato fin qui grazie ai miei sogni, che cosa me ne faccio della realtà, della verità, della sincerità?...». Tecnica & Sentimento, prediche antiche e dimenticate. Abbasso il calcio moderno.