Una squadra dell'Europa, un sogno che è anche sportivo
La Francia di Macron terrebbe viva e unita la speranza di un'Europa capace di essere punto di riferimento nel mondo per importanza politica, intellettuale, culturale. Si è parlato tanto di Europa da un punto di vista finanziario, ma non è stata certo la moneta comune a restituire l'idea di unica nazione ai suoi cittadini. Per generare l'idea di un'Europa dei popoli, servono emozioni comuni e, aggiungo, emozioni positive, non solo l'idea di dover fare fronte alle masse migratorie che arrivano dal sud del mondo o a un progetto di difesa dal terrorismo.
Per muovere cervelli, cuori e pelle di circa 500 milioni di abitanti di 28 Paesi (conto ancora anche la Gran Bretagna) ci sono due strumenti privilegiati: la musica e lo sport. La musica ci è arrivata per prima: dal 1956 esiste un gigantesco evento che si chiama Eurovision Song Contest. È una manifestazione storica che muove milioni di spettatori e raggiunge, con il proprio messaggio di unità, soprattutto i giovani.
Lo sport ha due tornei nei quali l'Europa scende in campo, ufficialmente, come nazione unica. La prima è paradossalmente molto più nota nel resto del mondo che in Europa: la Ryder Cup di golf, antica competizione sportiva a cadenza biennale, che dal 1979 permette a una squadra di golfisti europei di sfidare i loro colleghi Usa (in realtà il torneo nasce nel 1927, ma per più di 50 anni rimane cosa riservata a inglesi e americani). Pochi sanno che la Ryder Cup è la terza competizione sportiva più seguita al mondo, dopo Giochi Olimpici e Mondiali di calcio: attira mediamente 300mila appassionati, viene trasmessa in diretta in quasi tutti i Paesi del globo con 600 milioni di telespettatori e nel 2022 sarà ospitata in Italia.
L'altra manifestazione dove l'Europa partecipa come unica nazione, è la Mosconi Cup, un torneo annuale di biliardo a nove biglie che si contendono, anche in questo caso, Usa ed Europa.
Mi sono occupato per tanti anni di uno sport planetario, la pallavolo, ho avuto la fortuna di allenare per tre anni in Grecia, per sei in Finlandia. Ho visto dunque le differenze più estreme, le ricchezze di questo continente, e mi sono fatto un'idea. Forse un'utopia, chissà. Sogno, un giorno, di vedere un atleta o una squadra che rappresenti, ai Giochi Olimpici, gli Stati Uniti d'Europa. Se a Rio de Janeiro, la scorsa estate, l'Europa avesse iscritto una propria squadra, avrebbero più che doppiato i vincitori del "vero" medagliere: gli Usa.
L'Unione Europea avrebbe portato a casa 325 medaglie, di cui 106 d'oro, contro le 120 totali e 45 d'oro degli Usa o le 70 totali e 26 d'oro della Cina. Un messaggio entrò nelle nostre case grazie a Elisa Di Francisca, la schermitrice argento nel fioretto individuale, capace di conquistare un primato olimpico che resterà imbattibile: essere la prima atleta a mostrare la bandiera d'Europa, sventolandola ai piedi del podio, davanti ai fotografi. Accadde proprio nel momento più buio della storia dell'Unione. Elisa citò i morti di Parigi e di Bruxelles dicendo: «L'Europa esiste ed è più unita di ciò che pensiamo». Già, l'Europa esiste, eccome: siamo noi!