Una società senza fratelli né sorelle. Che grande perdita
È un breve video girato con lo smartphone, in uno di questi pomeriggi di pioggia. Il maggiore ha 3 anni, il fratello 1, appena. Stanno nella loro camera piena di giocattoli, con una parete dipinta a nuvole, e la tenda indiana, e anche un’altalena. Il piccolo gattona disinvolto; il grande cerca di trarre in salvo i suoi giochi dalle pericolose mani del fratellino. Gli allunga una macchinina, per tenerlo buono. Ma quello la lascia cadere e con un balzo gli si butta addosso, per terra: ecco a cosa giochiamo, sembra dire con gli occhi che gli si illuminano, giochiamo alla lotta. È grande per avere un anno, e forte, e l’altro, ridendo, si trova a difendersi. E si stringono, si abbracciano, scalciano mentre la mamma, che ride anche lei, dice al maggiore: «Stai attento, lui è piccolo». Che meraviglioso gioco, la zuffa fra due fratelli bambini. Nella gioia di rotolarsi, schiacciarsi, avvinghiarsi: e infine il vincitore trionfante, a cavalcioni dell’altro.
Ma lo sconfitto non si arrende, e si ricomincia. Nessuno dei giocattoli nella stanza è tanto divertente, quanto quell’azzuffarsi. Il più grande dei regali, è un fratello. Poi, non appena il più piccolo cammina, l’altro gli insegna un sacco di giochi. Turbolenti: lo carica sulla sua automobilina e vanno, vanno nel corridoio, fino all’inevitabile muro. Felici si rialzano, lo fanno di nuovo. Il grande si rotola sul divano, l’altro lo guarda ammirato e immediatamente lo imita. La mamma, non apprensiva, si limita a intervenire un attimo prima che si possano fare male. La nonna invece medita di comprare ai due dei caschi integrali, e poi di lasciarli fare; anche perché dopo un’ora che li placca come in un match di rugby, è sfinita.
Fratelli, venti mesi di differenza appena: che privilegio, e sempre più raro. Quei due non sono mai soli. Hanno un sodale in eventuali imprese clandestine, e un compagno, la sera, quando viene spenta la luce, e il buio fa un po’ paura. Hanno con chi litigare, e poi fare la pace. Noi siamo cresciuti in tempi cui tutti, o quasi, avevano fratelli, e spesso anche molti. Per cui che cosa fare in cortile non era un problema: qualcosa ce lo si inventava. Vedo oggi a Milano, in centro, sontuosi negozi che vendono strabilianti, carissimi giocattoli. Da incantarsi a guardare le vetrine: ma in realtà quelle meraviglie le si acquistano, spesso, per rimediare a un vuoto, a un fratello che non è arrivato. Troppo lavoro, poco tempo o pochi soldi, no, un altro non ce la si fa. Ma io ricordo una sorella che senza che me ne accorgessi mi insegnava a leggere, su grandi libri di fiabe, come in un gioco; mi insegnava in realtà tutto, ad allacciarmi le scarpe e a stare a tavola, e a guardare i temporali dalla finestra, senza avere paura.
Noi venuti su da fratelli sapevamo fin dall’inizio di non essere soli, e anche, crescendo, di doverci preoccupare dell’altro. Già questo sarebbe molto, nella solitudine che leggi sulle facce di tanti ragazzi in metrò, di ritorno dalla scuola. A scuola almeno si è in tanti, si è insieme. A casa, piccole camere tappezzate di manifesti, la musica, la Playstation, lo smartphone: ma, di fratelli, nessuno.