Le hanno seppellite in fretta - ciò che restava di loro. Non sapremo quali violenze hanno esattamente subito le donne dei kibbutz attaccati da Hamas. Ho visto una foto di una rapita, i capelli rossi, i pantaloni lordi di sangue.
Voglio allora immaginarmi Sara, 18 anni, figlia di coloni, nata lì. Non ha scelto. Un viso innocente e antico, un sorriso felice quando, maestra d’asilo, stava con i più piccoli. In un girotondo di voci, strilli, di appena balbettate parole. E pannolini, e capricci, e bocche affamate. Una chioccia in un nido, sembrava Sara. Sognava di avere anche lei dei bambini, con quel ragazzo che da un po’ la guardava. Quando era libera, lavorava nei campi. Le piaceva la terra arida che, irrigata, germogliava. La sera del 6 ottobre aveva detto le sue preghiere, e si era addormentata.
Ho letto il report del New York Times: stupri pianificati e ordinati, per umiliare e distruggere le donne – le donne, che danno la vita. Poi, per molte un’orrenda morte. Adolescenti, madri, incinte, lo stesso atroce destino. Non riesco a leggere ciò che hanno fatto alle donne, il 7 ottobre. Ebree ma prima ancora donne, non velate, non confinate in casa. Quasi in una volontà di punizione verso le non – sottomesse.
Sara, non vedrò la tua faccia. La ricorderanno forse i tuoi bambini, gli scampati: china su di loro, sorridente mentre pulivi le bocche sporche di latte.
© riproduzione riservata