Rubriche

Una Nazionale da "Normal one"

Italo Cucci venerdì 1 aprile 2011
Spero che Prandelli non si svegli, un giorno, con la sindrome di Mourinho il quale ha confessato di non poter allenare una nazionale perché - parole testuali - «se divento commissario tecnico, avrò la squadra solo una volta al mese e il resto del tempo lo dovrò trascorrere in ufficio o a guardare partite di altri». Don José ha aperto una poco signorile polemica con Fabio Capello, a suo dire chiamato ad allenare l'Inghilterra dopo il suo rifiuto, ma nessuno ha sottolineato come, in tempi di pesante e diffusa crisi economica per tanti trasformatasi in povertà, vi sia qualcuno che lamenta il sacrificio di stare in ufficio o a veder partite di calcio per il modico compenso di sei, sette, nove, undici milioni di euro l'anno. Poi danno del cretino a Balotelli. Tornando a Prandelli, mi auguro che la panchina della Nazionale non sia stata per lui un ripiego ma - ne sono convinto - la realizzazione di un sogno e un traguardo professionale. E ha fatto bene a rammentarlo, Cesare, proprio mentre c'è chi tenta in ogni modo di ridimensionare la squadra azzurra battezzandola "di serie B" o addirittura negando il valore delle amichevoli che - ho sentito dire - disturbano solo i club e non eccitano i tifosi. In questo Paese di Santi, Poeti, Navigatori e Telespettatori le scelte fondamentali della vita vengono ormai sottoposte all'intelligenza del telecomando (Vuoi i migranti o no? Vuoi l'aumento della benzina o no? Vuoi le centrali nucleari o no? Vuoi l'aumento delle tasse o no?) e allora si prenda nota che l'ultimo referendum ha bocciato i nemici del calcio: Ucraina-Italia, l'ultima "inutile amichevole", ha collezionato cinquemilioniequattrocentosettantatremila spettatori (a occhio quanti una paytivù metterebbe insieme in un mese) superando anche la famigerata "Isola dei famosi" nella serata in cui Simona Ventura in persona s'è tuffata nell'esotismo forzato per incrementare i declinanti ascolti. Mi piace, Prandelli ct, perché non cerca facili consensi fra gli opinionisti e i padroni del vapore; perché continua a dar valore al ruolo istituzionale della Federazione che in un secolo ha conquistato quattro titoli mondiali; perché ama e produce un calcio "normale", sereno, non schizofrenico ma addirittura semplice come il disegno di ammodernare i tradizionali disegni tattici "all'italiana"; perché rappresenta con effetti pratici una scelta offensiva senza sdilinquimenti qualunquistici ma con adeguata attenzione alla fase difensiva; perché crede nei giovani e lo fa vedere convocando anche qualche carneade come il cagliaritano Astori Davide da San Giovanni Bianco, o un Giovinco svenduto dalla Juventus, o esaltando il goleador Pepito Rossi che tutti vorrebbero ma nessuno lo piglia. E annunciando che ha la pazienza di aspettare il reprobo Balotelli divenuto vittima dei tanti moralisti peraltro indifferenti alle gesta dei tanti campioni più attivi nelle notti meneghine che sul verde di san Siro. Mi piace, Prandelli, perché interpreta correttamente il ruolo di Selezionatore evitando le smargiassate di chi magari si crede la reincarnazione di Vittorio Pozzo. Mi piace e gli auguro ogni bene.