Una finestra diretta sul carcere catacomba
È quello che cercherò di far comprendere meglio – i lettori di Avvenire sono già molto ben informati su questo – aprendo una volta al mese una finestra diretta sul carcere, con alcune testimonianze degli stessi carcerati. Sarà il loro grido per chiedere una giustizia equa. Già, perché i poveri, in carcere, sono ancora più poveri. Una percentuale minima è fatta da grandi criminali. Migliaia sono "dentro" per reati minori. Molti ruotano attorno al mondo della tossicodipendenza, per non dire degli analfabeti, degli stranieri (meno degli italiani), del numero elevato dei senza dimora e dell'1% (forse) di laureati. Il tasso dei suicidi in carcere, secondo l'Istat, è del 18% superiore a quello di "fuori".
Mi chiedo se abbia senso lasciare in carcere giovani prostitute africane vittime della tratta, oppure persone senza dimora per aver rubato un cappotto o dormito in un'auto, anziani (perfino 80enni), uomini affetti da Hiv o bisognosi di muoversi in carrozzella o con le stampelle. Si può pensare di recuperare le persone alla società lasciandole in cella, in certi reparti, 22 ore su 24? Pochissimi coloro che hanno la possibilità di lavorare o di studiare, occupando meglio il tempo.
Tra l'altro, sembra incredibile che un edificio di proprietà dello Stato sia lasciato in simili condizioni: se fosse un immobile privato, probabilmente non sarebbe autorizzato a ospitare persone. Ovviamente, tutte queste situazioni creano problemi agli stessi agenti penitenziari, che sono sotto organico, con orari prolungati e turni difficili da gestire di notte e nei fine settimana. Non può essere sottovalutato che dal 2000 il numero di suicidi tra gli agenti penitenziari ha superato quota 100. Insomma, sono molti i punti sui quali riflettere e far sì che i riflettori restino accesi.
Padre stimmatino, cappellano
della Casa circondariale maschile
"Nuovo Complesso" di Rebibbia