Ha fatto bene “Aleteia” (
bit.ly/2REHZbq ) a recuperare dall'oblio digitale estivo il post di “Una penna spuntata” che, a fine agosto 2019, raccontava le probabili radici omiletiche di una favola non solo popolarissima, ma come tale studiatissima nei suoi risvolti metaforici, specie nella versione di Perrault (quella non a lieto fine). Si parla infatti di Cappuccetto Rosso. Spiega dunque la blogger Lucia Graziano (
bit.ly/2tIU9YI ) che nel 1023 Ecberto di Liegi, il quale insegna ai seminaristi presso la cattedrale, pubblica a uso degli studenti un manuale antologico delle proprie lezioni comprendente anche la fiaba «De puella a lupellis servata», dove la protagonista è una bambina di 5 anni che, a Pentecoste, ricevette in dono dal padrino, per il proprio battesimo, una veste rossa, e che grazie a quella veste fu risparmiata dai lupacchiotti dei quali il giorno dopo cadde preda. Una penna spuntata prosegue deducendo dalla storia alcuni elementi: sul fatto che essa suggerisce ai futuri presbiteri di insistere sull'importanza del battesimo; sulla foggia della veste donata alla piccola (compresa la presenza, implicita, del cappuccio); sul valore pagano, oltre che sacro, del suo colore rosso; in genere sull'intento dell'autore di narrare un vero e proprio «miracolo battesimale». Il sovraccarico informativo che caratterizza la Rete vi ha aggiunto un'ulteriore suggestione. È di questi giorni la notizia (
bit.ly/3aD6jTK ) che l'arcivescovo di Spoleto-Norcia, Renato Boccardo, ha disposto che per tre anni si celebrino le cresime senza la presenza dei padrini e madrine, poiché questa «risulta spesso una sorta di adempimento formale o di consuetudine sociale, in cui rimane ben poco visibile la dimensione della fede». Decisione difficile, ma comprensibile, nonché condivisa dai parroci. I quali, evidentemente, faticano sempre più a riconoscere, tra gli adulti chiamati ad accompagnare alla cresima i loro ragazzi, figure dotate di doni anche solo paragonabili all'«abito rosso» della fiaba di Ecberto di Liegi.