San Tommaso d’Aquino scriveva che è l’esperienza umana, grazie ai sensi che abbiamo, la porta della conoscenza. E ciò avviene anche nel nostro rapporto con l’Infinito, che è una delle vie con cui possiamo accedere alla bellezza del Divino.
Marilynne Robinson, scrittrice americana vincitrice di numerosi riconoscimenti letterari, è una narratrice della grazia come fonte di incontro con l’assolutezza divina. In una pagina di Gilead (Einaudi), il romanzo che più l’ha fatta conoscere, la voce narrante, il reverendo John Ames, parla così al figlioletto di una camminata fatta da piccolo con suo padre: «Non ho parole per dirti come mi sentivo quella sera mentre camminavo al suo fianco su quella carrareccia, attraverso quel mondo vuoto, quale dolce forza percepii in lui, e in me stesso, e tutt’intorno a noi. Sono contento che non capii, perché mi è capitato raramente di provare una gioia, e una sicurezza, tanto grandi. Era come uno di quei sogni in cui sei pervaso da un sentimento eccessivo che forse non proveresti nella vita reale, qualunque sia, perfino rimorso o terrore, e ti insegna quale stupefacente strumento sei, per così dire; la grande capacità che hai di avere esperienze, ben oltre quella a cui ti dovrai mai trovare ad attingere». Questo senso di pienezza, anche dentro «un mondo vuoto», questa gioia e sicurezza sono una grazia. Accadono. Di essi si deve esser grati.
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