Nel video passato l’altra notte su Al Jazeera e visto in tutto il mondo, nel cielo nero sopra Gaza si leva improvviso un punto molto luminoso. La memoria ha altre strade della ragione, e corre all’indietro, rapidissima, in stanze dimenticate. Quel punto nel cielo della Palestina per una frazione di secondo mi fa venire in mente una cometa. Sì, la cometa di Betlemme come la immaginavo da bambina, uno spillo nella notte, ma così splendente che non si poteva non restare a fissarlo, sbalorditi. Questione di pochi istanti, e la luce di questa notte di ottobre invece ricade verticalmente su Gaza senza corrente, senz’acqua, senza cibo. Precipita su un luogo sconosciuto. Ancora una frazione di secondo, una detonazione. Ora si alza, deflagrante, un incendio, che velocemente si propaga. Era un ospedale gremito di feriti e rifugiati. 500 morti, annunciano da Gaza, poi forse sono di meno, “solo” 200, o 400? Non siamo stati noi, dice Isreale, e mostra video, e intercettazioni. Ma una fiammata di odio si è già allargata nei Paesi arabi, come quando si getta un fiammifero su un terreno intriso di benzina. Non era una cometa, era una miccia lanciata ad alimentare un incendio potenzialmente terribile. I ricordi a volte sono sciocchi, ti dici con amarezza. Quasi una beffa: per un istante ti hanno riportato alla narrazione che hai ascoltato fin da quando eri piccola. Cometa, luce, Magi da Oriente che inseguono ostinati quel segno che era scritto, che era annunciato. Segno di un Dio nato bambino mandato a vincere la morte, la Nemica. Forse in quella grotta si scaldavano attorno a un piccolo fuoco? Ma in questa notte dell’anno 2023 la luce diventa morte. Un segno come manipolato e trasfigurato da qualcuno che odia gli uomini, e i loro figli. Anche l’altra sera sul web un’immagine mi si era fermata nei pensieri. Un’eclisse di Sole, il 14 ottobre, visibile solo quasi nell’emisfero australe. La Luna interposta tra il Sole e la Terra, per alcuni minuti, fino a lasciare nel cielo un anello rosso fuoco, attorno al disco oscuro del nostro satellite. Un evento astrale rigorosamente calcolabile, incroci costanti fra orbite e secoli, niente che la scienza non sappia spiegare. Tuttavia, c’è nel fondo di alcuni di noi ancora un’anima antica, che non aveva tanta sapienza, e sussultava di angoscia se un giorno il Sole si oscurava. Un’anima primitiva, l’ho avvertita dentro, spaventata da quello che sembrava un tradimento: la luce del giorno, della vita, affievolita, quasi spenta. E quell’anello purpureo attorno, come una porta sul buio. Mi immagino che le tribù di Neanderthal pregassero intimorite, nelle notti di eclisse, un Dio sconosciuto. Noi sorridiamo: primitivi. Noi non riconosciamo più alcun segno nella natura. Tutto è conosciuto e calcolato. Sappiamo, crediamo di sapere ogni cosa.
Però quell’anello ardente, a pochi giorni dal massacro in Israele del 7 ottobre, dalla notte dei ragazzi rapiti e uccisi, dei neonati bruciati, lascia anche me nella inquietudine. Come la cometa trasfigurata su Gaza. Eco di qualcosa in bilico, nel fondo della terra, o in cielo. «Mi chiudo fra le mura della preghiera come nella cella di un convento», scriveva Etty Hillesum, giovane ebrea olandese in attesa della deportazione ad Auschwitz, dove morì. Che fede aveva, per trovare riparo, nel mezzo dell’Olocausto, nella preghiera. Io non ne sono assolutamente capace, e ho paura, in questi giorni. Provare, ugualmente: pregare immaginandosi soli con Dio, a domandare. Pregare per quella moltitudine sconosciuta, orfana, mutilata, i figli strappati alle madri; o in fuga, senza un tetto, assetata. Ci vuole del coraggio per affacciarsi a quella cella. Come un lasciarsi andare. Esito, non oso. Come ci fosse chiesto il coraggio di abbandonarci in Dio, finalmente. Qualcosa che, in una lunga smemoratezza, non ci è stato tramandato.
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