Il decreto elezioni, appena convertito in legge, prevede che nella tornata dell’8 e 9 giugno gli studenti fuori sede potranno votare nel luogo o nella Regione in cui vivono senza dover tornare nei rispettivi Comuni di residenza. Ma la novità riguarda soltanto le europee e non le altre consultazioni che si svolgeranno contestualmente: le regionali in Piemonte e le amministrative in oltre 3.700 Comuni. Ed è una novità circoscritta agli studenti (circa 432mila, secondo le stime) e non estesa ai lavoratori (che sono molti di più), né a chi vive in luogo diverso da quello di residenza per motivi di cura. La pur benemerita apertura, insomma, rappresenta una risposta veramente molto parziale – e per certi versi persino contraddittoria – a un problema che viene annoverato tra le cause principali del cosiddetto “astensionismo involontario”, quello che non è frutto di una scelta ideologica ma deriva prevalentemente da ostacoli pratici.
A questa soluzione una tantum, definita “sperimentale” negli stessi testi ufficiali, si è arrivati attraverso un percorso tortuoso. L’interesse per il tema si era riacceso prima delle ultime elezioni politiche, in corrispondenza con la presentazione del Libro bianco sull’astensionismo promosso dal governo di allora. Nella nuova legislatura, poi, erano stati i gruppi di opposizione a rilanciare l’argomento a livello parlamentare, ma la maggioranza si era imposta trasformando la proposta di legge in discussione in una delega al governo, limitata al voto europeo e ai referendum, da esercitare entro 18 mesi. In questa versione, la proposta era stata approvata alla Camera il 5 luglio e trasmessa, tra le polemiche, al Senato. Era evidente che i decreti attuativi della delega non avrebbero mai visto la luce in tempo per l’eurovoto di giugno e così, su iniziativa di FdI ma con il voto convergente di tutti i gruppi, a febbraio si è ricorsi a uno stratagemma procedurale: la nuova disciplina è stata condensata in un emendamento inserito nel “decreto elezioni” che era già in via di conversione.
Le nuove norme prevedono che lo studente si rivolga con almeno 35 giorni di anticipo al proprio Comune di residenza: ricevuta l’autorizzazione, voterà nel Comune in cui vive se questo è compreso nella stessa circoscrizione elettorale dell’altro (in questo caso, infatti, le schede sono uguali), altrimenti dovrà recarsi in appositi seggi allestiti nel capoluogo della Regione in cui è domiciliato. Non propriamente il massimo della semplicità, ma ci sono delle esigenze connesse con la libertà e la segretezza del voto che bisogna comunque trovare il modo di soddisfare. Diciamo quindi che è soltanto un primo, anzi, primissimo passo.
D’altronde nessuno si illude di poter affrontare la sfida dell’astensionismo solo su questo terreno. Eppure gli aspetti pratici non devono essere sottovalutati, neanche nella misurazione del fenomeno. L’Istituto Cattaneo di Bologna, per esempio, ha acceso un faro sul fatto che per votare nelle regionali e nelle amministrative, gli italiani all’estero dovrebbero tornare fisicamente in patria, ma non lo fanno se non in termini quasi impercettibili. Il loro numero, tuttavia, contribuisce a determinare la base elettorale. Un carotaggio effettuato dal Cattaneo nel recente voto in Abruzzo ha calcolato che nella città di Pescara questo meccanismo ha fatto crescere l’astensionismo “ufficiale” di oltre sei punti percentuali.
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