Le briciole, se ci pensiamo bene, forse traducono meglio della grandezza quello che è il reale percorso delle nostre vite, l’intrecciarsi delle relazioni che intratteniamo o il pulsare di ciò che dell’immenso mistero abbiamo visto. È però nella misura in cui ci appassioniamo a questa danza di briciole che possiamo lasciarle in eredità agli altri. Mi viene in mente uno dei film più belli della storia del cinema, La carrozza d’oro (1952) di Jean Renoir. Un duplice esordio: era per l’Europa il suo primo lungometraggio in technicolor, e per Renoir la prima esperienza di riprese fatte in Italia, e con un’attrice, Anna Magnani, che per lui rappresentava la quintessenza delle scene. Il film è l’adattamento di un testo teatrale di Mérimée, costruito come una commedia degli equivoci, ma che progressivamente comprendiamo essere ben più di questo: è una parabola della condizione umana, una meditazione sulla vocazione dell’artista, una difesa della missione che incombe all’arte, che non è illudere o far evadere, ma restituire il nesso del nostro cammino con il senso. Camilla (Anna Magnani) lo scopre nel modo in cui lo scopriamo noi: amando ciò che era chiamata ad amare, in modo intenso, abnegato e totale. Per questo, quando, nella scena finale, giunge il momento di lasciare il teatro e le domandano se prova dispiacere, lei non può non rispondere: «Un poco».
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