Dal terrazzo del mio hotel a cinque stelle alla Giudecca, ironia degli inviti ai poeti, vedo tutta l'isola intorno. Devo incontrare il poeta cinese che è anche curatore del loro secondo padiglione d'arte, qui alla biennale di Venezia. È in corso anche la biennale del cinema, dove ero stato, presente in un docufilm in cui tiravo pedate alla mafia ma l'opera, per il vero, mi aveva lasciato come un baccalà. La cosa più penosa fu il tappeto rosso, dove passano gli attori. Un nugolo di fotografi, ragazzi disoccupati, emette grida di disperazione, vendute alla TV come manifestazioni di giubilo. La cultura e lo spettacolo sono sempre più un carnevale di Venezia. Durante quest'ultima permanenza, non ho mai lasciato la Giudecca e il Palladio mi ha insegnato, presso la chiesa del Redentore, come diventino cristiani gli elementi dell'architettura classica. Infine, sbarcando dal vaporetto alla stazione S. Lucia, mi sono seduto sui gradini d'ingresso. Sul piazzale, un gruppetto suonava dei rauchi blus. Un poeta di strada, ma io non lo sono?, ha scritto per me un suo testo che sembra un'acquaforte di parole. In più, dei Coreani ballavano una coreografia, cantando una occidentale classicità. Finalmente incominciavo a sentire profumo d'ossigeno, il sapore di un po' di umanità.