Vigilia di Natale del 1984. Il giorno prima un ordigno aveva fatto saltare il Rapido 904, in una galleria fra Firenze e Bologna. 16 morti, 267 feriti.
Giovane cronista di un quotidiano di Milano, mi mandarono a cercare i parenti delle vittime. Mancava all’appello una ragazza sui vent’anni: non la si trovava, né ferita, né morta. Suonai al citofono di casa sua, a Bologna - pregando che non ci fosse nessuno.
Ma un uomo venne ad aprirmi. Balbettai che ero una giornalista. Lui, cortese, mi fece entrare. Era il padre: i capelli grigi, terreo, sfinito dalla notte in bianco. La casa borghese, i divani di velluto, gli scaffali pieni di libri. L’uomo era solo. Fece un caffè e me lo offrì. Io, sbalordita. Aveva perso una figlia quella notte, e mi faceva un caffè?
Ma quel padre ancora non aveva capito. «È un’atleta mia figlia, forse è corsa fuori dalla galleria, ora sta vagando nei boschi», ripeteva, calmo, solo gli occhi leggermente assenti. Io muta, per non svegliarlo dal suo sogno. Perché però era così gentile con me, una sconosciuta?
Vidi in una cornice d’argento una foto della figlia. Bruna, tratti emiliani, la mia età. Mi assomigliava: allora capii. Potevo essere, di quella figlia, una sorella. A quel padre sembrava, forse, di essere con lei.
Me ne andai in punta di piedi. Nel chiudere la porta quell’uomo gentile sorrideva: dentro al disperato sogno, cui ancora si attaccava.
© riproduzione riservata