È finita 1-0, con un goal di Osseynou Sokhna che ha permesso al suo Camerun di vincere la finale contro una sorprendente Bolivia. Non cercate sugli almanacchi di calcio, neanche sui quotidiani sportivi o sui canali digitali che trasmettono sport per 24 ore al giorno. Difficilmente troverete questa notizia. Bisogna andarsela un po' a cercare la cronaca di Balon Mundial, un progetto che utilizza il calcio per fare incontrare le comunità straniere della città di Torino. Anzi, per essere precisi, è la Coppa del Mondo (poiché quella è la formula con cui si gioca) delle comunità migranti più grandi d'Europa. A Balon Mundial possono partecipare tutti, amatori e appassionati, formando vere e proprie squadre nazionali del proprio Paese. L'ultima edizione (questa era la decima nella storia della manifestazione) si è conclusa domenica scorsa, con una kermesse andata in scena allo Stadio Primo Nebiolo di Torino che ha ospitato le finali del torneo femminile (calcio a 5), di quello maschile (calcio a 11), ma anche musica, balli tradizionali e una sfilata che ricorda, almeno per emozione, quella dell'apertura dei Giochi Olimpici.Sorrisi e gioia, un tripudio di bellezza innescata, per l'ennesima volta, da quel linguaggio universale che solo lo sport sa parlare. Qualche numero? 38 squadre maschili e 11 femminili per un totale di 32 nazionalità rappresentati (18 Paesi africani, 5 asiatici, 9 sudamericani e 5 europei), più di mille giocatori e cento partite. Momenti di grandi emozioni sportive e momenti commoventi nel loro essere quasi didascalici, come quello che ha preceduto la semifinale del torneo maschile, quando la squadra denominata Survivor, composta da rifugiati politici e richiedenti asilo di una decina di Paesi diversi, ha scelto di far suonare la Marsigliese come proprio inno e si è presentata in campo con una bandiera della pace e la scritta "Basta terrore" portata in campo dai suoi atleti. Già: atleti, perché oltre a essere un happening sportivo, culturale e perfino gastronomico Balon Mundial da qualche anno a questa parte è diventato un modo per regalare il sogno dello sport vero a chi mai avrebbe potuto immaginarselo.Alcuni ragazzi, infatti, sono veri talenti, anche se le difficoltà con i documenti spesso precludono loro non solo il professionismo ma anche soltanto il piacere di giocare in una squadra amatoriale. Qualcuno riesce nel sogno (sono già sette gli atleti che in qualche modo hanno avuto a che fare con club organizzati, alcuni addirittura di serie A), gli altri continuano a vivere a Torino: rifugiati, muratori, studenti, commercianti. Magari per questi ultimi il calcio resterà un sogno, ma questo ricordo avrà avuto un valore mille volte più profondo di quello legato alla compilazione di un modulo per ottenere un passaporto. Viene da pensare ai lavori di due grandi studiosi come Marc Augè e Desmond Morris, che hanno analizzato le dinamiche del gioco del calcio da un punto di vista antropologico. Se avessero assistito a Balon Mundial avrebbero aggiunto qualche riga ai loro saggi, magari sulla capacità del calcio di rendere migliore il mondo.Chiedere, per conferma, a Osseynou Sokhna che, per una sera, ha provato le stesse identiche emozioni di Eder, eroe del Portogallo campione d'Europa. Perché in fondo, il calcio, resta quella cosa lì: non importa se giochi in uno stadio davanti a 90.000 tifosi o nel campetto sotto casa, non importa se stai disputando una finale in mondovisione o una partita fra amici di fronte alla tua fidanzata. Ciò che conta è la passione, l'impegno, il rispetto per il tuo avversario e la forza straordinaria che ti regala l'idea di poter giocare per la tua comunità, per la tua gente, per la maglia che rappresenti.