Il mondo che abitiamo è certamente cominciato la notte in cui davanti a un fuoco circondato da molte ombre, o sotto a un cielo pieno di stelle, qualcuno ha preso la parola per raccontare la sua storia, e con la parola si è caricato sulle spalle il tempo, e con il tempo lo specchio della vita. E tutti gli altri, ascoltando quello specchio che era fatto di parole, di tempo coniugato al passato e di storie, hanno cominciato a ricordare la propria. Le due frasi che avete appena letto non sono mie: le ho prese in prestito da Pino Corrias, che è un giornalista, uno scrittore e uno sceneggiatore televisivo. Ma è soprattutto uno straordinario spacciatore di storie. E uno che invidio, perché scrive come io non saprò fare mai. Il senso di quello che voleva dire, è che raccontare è un bisogno insopprimibile. E che anche un piccolo pezzo di storia, soprattutto se ben raccontata, vale più di un’intera verità. Perché le storie sono fra tutte le cose, le più selvagge: inseguono, mordono, e non ti lasciano più. Questo immenso flusso di parole, e questo bisogno di ricordare e tramandare vicende, corrispondono al bisogno di dirci che esistiamo, che facciamo parte di un prima e di un dopo. Ci aiutano a dare un senso a quello che non ne ha: esserci per un giorno ed evitare di non esserci mai più.
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