Un libro di Bruti Liberati. Come essere obiettivi, senza essere distaccati
L'ultimo volume di Edmondo Bruti Liberati, "Magistratura e società nell'Italia repubblicana" (Laterza, 2018) può aiutare a formarsi un giudizio meno frettoloso ed emotivo. Alcuni squarci colpiscono.
In primo luogo, le pagine dedicate a Vittorio Bachelet: il quale «paga con la vita il ruolo di primo piano svolto dal Csm, sotto il suo impulso e con il sostegno pieno del presidente Pertini, nella tenuta delle istituzioni democratiche». In secondo luogo, il giudizio equilibrato sul tema delle correnti della magistratura: «La divisione in correnti è espressione del pluralismo che, ovviamente, connota il corpo giudiziario, ma non corrisponde affatto alla proiezione diretta dei partiti presenti sulla scena politica». Non di politicizzazione si deve parlare, ma della «tensione tra chiusura corporativa e presa di coscienza del ruolo dell'istituzione giudiziaria nella società democratica». Una tendenza alla chiusura corporativa che l'autore riscontra ancora oggi forte e che, mi permetto di chiosare, va attentamente soppesata da parte dei non togati, dentro e fuori il Csm, per non rischiare di attizzarla ulteriormente. Quanto alle correnti, rilevo che oggi andrebbe maggiormente coltivata proprio la loro capacità di elaborazione culturale.
Nonostante il titolo, il volume arriva sino alla metà del primo decennio del nuovo secolo. È troppo chiedere all'autore di continuare l'analisi anche sugli ultimi dodici anni, aiutandoci a fare un primo bilancio delle riforme Castelli-Mastella e soprattutto a decifrare un'attualità ancora più confusa? Proprio le sue caratteristiche di osservatore partecipante e le doti di equilibrio di giudizio potrebbero rendere prezioso un tale lavoro. In fondo, anche per Bruti Liberati vale l'onesto e risalente proposito di Wright Mills: «Ho provato a essere obiettivo, ma non pretendo di esser distaccato».
P.S. Neanch'io pretendo di essere distaccato, anche se un qualche "distacco" c'è: dopo tre anni e mezzo di appuntamenti settimanali, "Pane e giustizia" si congeda, con questo numero, dai (fedeli) lettori. Non cesserà, per contro, la mia collaborazione ad "Avvenire", in forme nuove e diverse. Ringrazio davvero il direttore Marco Tarquinio per l'opportunità che mi è stata data e che insieme abbiamo costruito. E lo ringrazio anche per avere sempre rispettato i titoli da me proposti: anche questo è segno di amicizia e di onestà intellettuale (r.b.)