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Un figlio e un padre

Lorenzo Fazzini mercoledì 29 maggio 2024
«Si avvicinò e si mise dietro di me, in silenzio. Posò le mani sulle mie spalle, appoggiò il viso alla mia schiena, si aggrappò con le palme, rilassò il corpo e lo lasciò cadere verso il basso. Si appese a me e io lo afferrai subito, tirandolo su per le cosce e sollevandolo fino a tenerlo saldo sulla schiena. Papà si attaccò a me con tutto il corpo e si tenne stretto da dietro. La sua guancia era posata sulla mia spalla, potevo percepire sul collo i suoi respiri pesanti, che puzzavano di vodka. Il suo fisico mi parve rinsecchito, avvizzito, e quando si ancorò a me diventammo un unico corpo. Non potevo più avere sospetti sulla sua sincerità né potevo prendermela per la volgare schiettezza con cui aveva espresso il suo dolore, così gli raccontai una storia, per tirarlo su di morale, come si fa con i bambini, e non mi sforzai più di perdonarlo». La scena è il culmine del romanzo Canaglia (Giuntina), debutto narrativo di Itamar Orlev. Un romanzo che, sebbene uscito dalla penna di autore israeliano contemporaneo, assomiglia a una rilettura odierna della parabola del figliol prodigo, a parti invertite: in questo caso è il padre colui che si allontana da casa, il figlio lo va a cercare. E in questa scena c’è una riconciliazione che ha il gusto fragrante del Vangelo: un perdono che non deve neppure essere nominato tanto è insito nel legame d’amore tra chi è generato e chi ha generato. © riproduzione riservata