C
hisinau, Moldavia, 1999 - Nel centro della città grappoli di bambini sui cinque o sei anni chiedono l'elemosina, aggrappandosi ai finestrini delle auto ferme al semaforo. Mollano la presa e ricadono quando gli automobilisti, ripartendo, accelerano. Li guardo attonita. «Lei non ha visto ancora niente», dicono quelli dell'Ai.Bi, l'associazione italiana che mi ha portato qui.Nella Moldavia del 1999 la disoccupazione è al 40%, e la vodka costa meno del sapone. Migliaia di bambini in abbandono. Mi conducono a Trieri, istituto per orfani. Come nelle più cupe pagine di Dickens: una prigione dove finiscono anche bambini di otto anni, "rei" di accattonaggio. Stanze buie, tracce di topi - ma le facce dei secondini fanno più paura. I più grandi hanno l'espressione dura di chi si sa già perduto. I più piccoli balbettano di madri alcolizzate, di padri che li spingono per strada a mendicare. E che occhi, hanno: ti si piantano nel cuore. E quei due in "camera di sicurezza", sporchi, atterriti? Forse il più fortunato è quello che ho visto ieri per strada, addormentato, abbracciato a un grosso cane.Non voglio vedere altro, mi dico, e quanto vorrei tornare in Italia. Ma domani andiamo in un altro istituto. Non immaginavo che per scrivere di orfanotrofi dell'Est ci volesse un coraggio, che non ho.