«Parole come scintille incandescenti dalla cattedra-letto d'ospedale marchio di fuoco sul cuore ottenebrato. Parole tue Parole Sue stratagemma divino per ribattezzarmi alla Luce. Papi, papà, abbà. Scrigno di reiterate tenerezze Dolce casa Sorgente e oceano. Essenza primordiale e approdo ultimo d'ogni umano cammino. Grazie, papà, ti sei preso cura di me. M'hai risorta alla mia incontaminata dignità». Corpo di figlia dinanzi all'essenza paterna; tenerezza che rinfresca l'infanzia, che fa risorgere l'origine. Splendidi versi di Graziella Milani alla cui commozione pochi potranno resistere. Torniamo, sogguardandolo, al volto di nostro padre, “marchiato di fuoco”, ancor più nell'assenza. O per la preoccupazione di lasciarlo su un letto d'ospedale che avrà morso il cuore a tanti di noi, in quest'anno e più di pandemia. E magari la sorpresa di ritrovarlo sereno che dice: non avevo bisogno di niente! Sentirlo ancora invitarci a non aver paura. E a non stancarci troppo. A lavorare di meno e a stare di più con i figli. Chiamarci ancora col vezzeggiativo di quand'eravamo bambini. Ripensare alle sere che diventavano feste non appena lui arrivava a casa. Poterlo sommergere ancora di chiasso e di baci.