Passare una settimana in Giappone, come m'è capitato nei giorni scorsi, ospite della Camera di Commercio per raccontare l'evoluzione del gusto in Italia, ti dà un'immagine positiva di quello che siamo. Otto giovani chef hanno voluto poi cimentarsi con piatti di cucina italiana, giudicati da critici e cuochi dei due Paesi. Ma, man mano che passavano i giorni, diventava evidente che dal Giappone abbiamo molto da imparare. Poi, col fuso orario che ti stacca di 8 ore, la lettura dei giornali italiani ti ributtava in qualcosa che mi faceva dire: "Ma che peccato!". Leggo sul Corriere della sera una bella intervista a Massimo Bottura, che parla di come la malattia di suo figlio lo abbia cambiato, dell'impegno al Refettorio ambrosiano durante l'Expo cucinando gli scarti e anche di un'iniziativa analoga che ha voluto fare a Rio, durante le Olimpiadi. Ma il titolo dell'articolo cerca l'attualità e l'outing dello chef a favore del "Sì" al referendum scatena poi la reprimenda in prima pagina del direttore de Il Giornale. Della serie: pensi a cucinare, faccia il cuoco, che le cose politiche sono faccenda di altri: giornalisti (ma non quelli di enogastronomia), leader di partiti, faccendieri. Vuoi vedere che mentre ero in Giappone hanno tolto il diritto di voto ai cuochi? I toni apocalittici e talvolta violenti che accompagnano questa campagna referendaria hanno dentro qualcosa che ha a che vedere col marketing del voto: se non si grida non interessa a nessuno, non c'è tifo. E non si va alle urne. I contenuti sembrano secondari: l'importante è il clima da bar dello sport. E tutto questo stride con la dignità giapponese. Leggo poi pagine di commenti sul ragazzino di una scuola torinese, sorpreso a mercanteggiare merendine coi suoi compagni. È stato sospeso, benché il preside abbia avuto un'idea: perché non istituire un laboratorio sulla creazione di impresa per assecondare le qualità imprenditoriali dell'alunno? In Giappone, mi dicono, avrebbero posto l'accento sull'attività illecita, che è sconveniente in una società ordinata; in Italia si monta un caso, con tanto di lettura creativa. E i pusher che vendono droga davanti alle scuole o gli zaini che nascondono marijuana? C'è sempre qualcosa di peggio che alla fine asseconda una deviazione che è un po' meno peggio. Anch'io avevo un compagno di scuola, alle elementari, che rivendeva metà della focaccia. Era povero e aveva inventato uno stratagemma per fare anche lui la merenda. Ma se il suo fosse diventato un business con 100 clienti, forse ci sarebbe stato qualcosa di storto da correggere. Ecco la differenza fra l'Italia e il Giappone: da noi la verità delle cose è sempre relativa. E serve a fare spettacolo. Come la politica. Che non sembra essere più, per dirla alla Gaber, partecipazione.