Un bicchiere mezzo pieno
2,11 miliardi di euro nel 2005». Insomma, per Palazzo Rospigliosi c'è ancora molto da fare, ma qualche risultato c'è. Confagricoltura, invece, punta il dito solamente sui prodotti agricoli e dice: «I dati Istat dell'interscambio con i Paesi extracomunitari pongono in evidenza il disavanzo che rimane nel complesso preoccupante (con un saldo negativo di. 3.490 milioni di euro)». Anche per i tecnici di Palazzo della Valle, serve lavorare, ma il bilancio per l'agricoltura rimane negativo. La Cia, infine, cambia ancora interpretazione basandosi però solamente sul boom del 27,3% dell'export di dicembre. L'agricoltura, in questo caso, è in controtendenza, ma la Cia ricorda che «il commercio agricolo italiano è indirizzato per la quasi totalità verso i paesi Ue, meno di un quinto è destinato ai paesi extraeuropei». Bicchieri mezzi vuoti oppure mezzi pieni, quindi che, tuttavia, la dicono lunga sulla difficoltà di fotografare con nitidezza un settore mutevole, vario, complesso, difficile, contraddittorio e mai uguale a sé stesso come quello dell'agricoltura e dell'agroindustria nazionale. Un comparto, comunque, che è una ricchezza. Per molti motivi. Il fatturato dell'agroalimentare nazionale dal campo alla tavola rappresenta circa il 15 % del Pil. Ed è giusto quindi il monito di Paolo Bedoni, presidente di Coldiretti, che ha invitato a non banalizzare il giudizio di Goldman Sachs International emerso a Davos secondo cui l'Italia conta per «cibo e calcio». Ma è anche doveroso, almeno ogni tanto, ricordarsi degli altri significati del settore. Come quelli presentati ieri in Toscana dall'Agenzia regionale per lo sviluppo agricolo: da tempo oltre un migliaio di portatori di handicap, fisici o psichici, ex tossicodipendenti, ex carcerati, ma anche giovani immigrati lavorano in circa 50 aziende agricole dando vita a quella che si chiama «agricoltura sociale». Un risultato importante, anche se a Davos e all'Istat sicuramente nessuno lo sa.