«Per incanto, Amore, vita e morte son diventate per me/ la stessa grande meraviglia».Versi finali di una poesia di Rabindranath Tagore, uno dei poeti che nel Novecento hanno più a fondo esplorato l'anima. Dico “anima”, non “animo”, poiché l'esplorazione dell'animo umano è certamente necessaria e fertile, ma riguarda la sfera della psicologia, non quella della poesia. È un'indagine, non un'Avventura. La poesia invece, come insegna qui e tante altre volte il bengalese Tagore - capace di fondere mistica induista e cultura occidentale - si avventura a precipizio, o a razzo (profondità e altezza coincidono in questa impresa), verso il mondo dell'Anima. E al termine di una breve e intensa poesia rivolta ad Amore stesso in persona, come divinità vivente (i poeti fanno spesso così, danno del tu all'allodola, al vento, all'usignolo, al mare, all'amore), conclude con un'immagine trionfale nel senso del paradiso dantesco, o dei poeti mistici Sufi: al tramonto della vita, similmente al Sole, Amore ci lascia intravedere un angolo di cielo. Questo tramonto prelude al buio ma non porta nel buio, poiché anche la morte, che si avvicina, grazie alla forza dell'amore, è ora una meraviglia pari a quella della vita che si approssima all'addio. Vita amorosamente vissuta.