Alle spalle delle casette che ospitavano i bambini, si trovava l'orto, rigoglioso, e subito dopo, oltre uno steccato, il cimitero, con una decina di piccole croci di legno piantate nella nuda terra. Solo due settimane prima, un coro di mani bambine aveva reso l'ultimo saluto a Peter, 84 giorni di vita, lasciando cadere manciate di cruda terra sulla bara di legno. Pochi giorni ancora ed era Natale, anche per Adrian, che nessuno conosceva quanti anni avesse, ma già si sapeva che sarebbe morto entro il mese.Nessuno era triste, sapevano che sarebbero saliti, tutti, in Cielo. Ma lui sì che era arrabbiato: «In Africa avevo una fattoria ai piedi degli altipiani del Ngong. A centocinquanta chilometri più a nord passava l'equatore; eravamo a milleottocento metri sul livello del mare. Di giorno si sentiva di essere in alto, vicino al sole...».Quella mattina di un limpidissimo giorno di dicembre del 1997, sul taxi che ci portava verso Karen, alla periferia di Nairobi, ai piedi delle colline del Ngong, tutto appariva ancora come narrato nel romanzo autobiografico della danese Karen Blixen «La mia Africa». I margini della savana profumavano di selvaggio e potevi udire il ruggito del leone.Avevamo un appuntamento con padre Angelo d'Agostino. Angelo di nome e di fatto, che aveva scelto di stendere le sue ali per proteggere e aiutare i bambini nati sieropositivi, orfani o abbandonati dalle famiglie. Un dramma nel dramma. L'Aids era un campo di battaglia, il virus uccideva senza pietà e le cure restavano una chimera. Dei bambini nati sieropositivi non si sapeva che fare. Solo attendere un funerale.Suo padre era nativo di Canosa di Puglia, la madre della provincia di Caserta, lui, invece, figlio di emigranti, era nato americano, a Providence, Rhode Island. Nel 1955, a 29 anni, si mette alle spalle la stagione da capitano medico chirurgo nell'aeronautica militare degli Stati Uniti d'America, e la guerra di Corea, per entrare nella Compagnia di Gesù: «Dove non avevano bisogno di un medico, ma – e rideva – di uno psichiatra». Fu il primo sacerdote cattolico allora autorizzato, ci confidò divertito, a specializzarsi in psicanalisi studiando sulle teorie di Sigmund Freud. Quando lo incontrammo nella da poco avviata struttura d'accoglienza «Nyumbani», che, nella lingua kiswahili, significa «a casa», ed era il senso del suo progetto di accoglienza, piccole casette con ognuna una decina di bambini e due mamme adottive, i suoi 62 anni erano una energia unica.Piccolo di statura, radi i capelli, pizzetto della barba bianco come Babbo Natale, le bretelle rosse, sempre una camicia di cotone bianco, braccialetti africani colorati al polso, e una parlata americana «contaminata» da un insuperabile accento pugliese, padre Angelo D'Agostino nel 1991, mentre prestava servizio in un orfanotrofio, si chiese come mai non c'erano anche i bambini con l'Hiv. Gli venne risposto che non si sapeva come assisterli. Per padre Angelo, stanco di fare funerali, era giunto il tempo di fornire conforto e soprattutto cure anche per loro. La prima «Nyumbani» sorge in una ex fabbrica di tappeti. Oggi molto è cambiato, «Nyumbani» è una eccellenza medica riconosciuta nel cuore della piaga sieropositiva africana. Grazie anche alla bontà di tanta gente comune che ha creduto nel sogno di un uomo che, c'è chi dice, «mandato dalla Provvidenza divina in soccorso dei più piccoli». In questi anni sono stati assistiti 12.500 bambini, mentre oltre 4.000 sono quelli correntemente ospitati. Padre Angelo è mancato nel novembre del 2006, aveva 81 anni. I suoi resti mortali riposano nella nuda terra del cimitero dei gesuiti a Nairobi. Poco lontano da un'altra tomba sulle colline del Ngong, da cui si vedono il monte Kenya e il Kilimangiaro: quella di Denys Finch Hatton, l'uomo che fu l'amore della Blixen. Una frase è incisa sull'obelisco ed è del poeta inglese Samuel T. Coleridge: «Prega bene colui che ama sia gli uomini che gli uccelli e gli animali».