Chiedetemi dove vorrei essere in autunno, quando le prime nebbie salgono dai campi e vien voglia di intabarrarsi come i vecchi di una volta. Vorrei essere in Emilia. Sì, in quei borghi della Bassa dove Giovannino Guareschi s"ispirò per le sue storie, che a rileggerle sono di una tenerezza estrema. Vorrei essere nella golena del Po, a Zibello o a Polesine Parmense, dove i fratelli Spigaroli stagionano i loro culatelli, a prova persino di alluvioni. C"è una loro casa bianca in mezzo alla campagna, che ha dentro la stagionatura di questo sontuoso salume. Qui di notte aprono le finestre perché l"umidità avvolga quelle forme che sembrano quasi vive. Edoardo Raspelli e il nostro Giorgio Calabrese, nei giorni scorsi, hanno ricevuto il "Culatello d"oro", un riconoscimento a un ghiottone impenitente e a un medico dietologo. Cosa li unisce? Forse il concetto che la buona qualità non è mai contro la salute. Anche se a Calabrese non ho mai confessato che io di culatello ne mangio tanto e di svariati tipi, perché all"Antica Corte Pallavicina te lo propongono con la carne della razza borghigiana e con quella della mora romagnola. I maiali si nutrono ancora con le ghiande e il prodotto che arriva umido e a fette dentro al piatto non sarà mai replicabile dall"industria, con tutti gli sforzi che potrà fare. Qui il culatello si mangia con un pane quasi biscottato, e si abbina alla Fortana del Taro, che è un vino frizzante, amabile, di appena 6 gradi. Te ne bevi una bottiglia, senza farci caso. Ma guai a mangiare il culatello messo sopra allo gnocco fritto caldo. È come rovinare un pasto" pure le fragranze di questo salume principesco. Con le parti nobili della parte alta della coscia del maiale qui fanno anche il fiocco, che taluni spacciano per culatello. Il culatello migliore non deve mai rinsecchire, e per mantenerlo umido e uniforme si usa farlo riposare per un paio di giorni avvolto in un panno inzuppato di Malvasia bianca. Quando poi si taglia un culatello è bene pensare in fretta a come finirlo. Il frigorifero può solo rovinarlo. Insomma, bisogna mangiarne tanto.