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Tutto ha un inizio, ma non la fine Parola di Gadda

mercoledì 19 ottobre 2011
   L’approdo di Carlo Emilio Gadda (1893-1973) in Adelphi è una garanzia e finalmente avremo un’Opera omnia completa/completa, definitiva/definitiva, dopo i cinque volumi pubblicati da Garzanti tra il 1988 e il 1992. L’avvio, con Accoppiamenti giudiziosi (Adelphi, pp. 488, euro 27), a cura degli espertissimi Paola Italia e Giorgio Pinotti, è promettente. Il testo è corredato da una Nota e da due Appendici per complessive 124 pagine, inclusive di un Soggetto cinematografico inedito, tratto dal racconto che dà il titolo al volume. La Nota ricostruisce con filologica minuzia le peripezie editoriali dei diciannove racconti ivi radunati e che slittavano da libro in libro, da rivista in rivista in diversa successione e redazione, mettendo a dura prova la pazienza di Einaudi e di Garzanti, senza contare Vallecchi e altri, ai quali lo scrittore, che rifuggiva dall’esclusiva a un unico editore, prometteva e rimandava, riprendeva e tergiversava anche con qualche bugia. Il fatto è che Gadda, grande/grandissimo, e abitato dalle non lievi nevrosi che lievitavano l’ampollosità difensiva della sua prosa, non sapeva elaborare e concludere una trama: i suoi romanzi, Pasticciaccio incluso, sono sempre incompiuti e i racconti sono tranches de vie, abilissime divagazioni che, se hanno un capo, mancano quasi sempre della coda. Uno dei pochi racconti degli Accoppiamenti che abbia un finale è “San Giorgio in casa Brocchi”, sull’iniziazione sessuale del diciannovenne Gigi, ed è il più ovvio dei finali, meno interessante delle otto pagine (sulle 58 del racconto) di digressione sul De Officiis di Cicerone che non c’entrano nulla col resto, ma sono irresistibili. Irresistibile è l’aggettivo obbligato dall’ironia di Gadda, da quel suo avvoltolarsi in subordinate e sub-subordinate stupefacenti per accostamenti e cortocircuiti, non scevri da coprolalia e di volgarità, riscattate dalla ridondanza di una prosa che è la più ariostesca del Novecento. Di un Ariosto stanziale in Brianza, osservatore di costumi e malcostumi della micro e della macro-borghesia lombarda degli Anni Venti e Trenta. Una borghesia che non c’è più, e questo contribuisce, bisogna pur dirlo, ad allontanare dal sentire odierno le ingegnosissime fabulazioni dell’ingegner Gadda. Un tè in casa Brocchi: «La domestica rientrò, silente, elegante: nerovestita in seta guanti bianchi di filo, e grembiulino e bretelline bianchi teneramente guarniti di lattuga: era orrenda. Vi fu una pausa piena di costernazione, durante la quale sparirono dal tavolino, ad opera della scrupolosa spigolatrice, oltre al vassoio alla cùccuma e al bricco, e alla zuccheriera con le sue molle, anche le fette di limone e relative forchettine: e subito dopo le tazzine, i piattini, i cucchiarini, i tovagliolini, i biscottini; di cui uno cadde però per terra e il professor Frugoni, lisciandosi i grossi baffi con fare autorevole, ci mise subito su il tacco senz’avvedersene, sicché lo spiaccicò in malo modo sotto gli occhi desolati dei presenti». Dei racconti di Accoppiamenti giudiziosi, libro che il pontefice massimo Gianfranco Contini riteneva superiore alla stessa Cognizione del dolore, i due più belli (se belli si possono qualificare due racconti propriamente lancinanti) sono proprio “Una visita medica” e “La mamma”, tratti appunto dalla Cognizione del dolore, improprio “romanzo” pubblicato sulla rivista “Letteratura” tra il 1938 e il 1940. Qui l’affioramento autobiografico, più che mai palese, rende ragione del supplizio di Gadda nei rapporti con padre e madre, del suo strazio per la morte in guerra (1918) dell’amatissimo fratello, dell’acredine, in particolare, verso la madre il cui dolore, tuttavia, è compreso, rivissuto e raccontato nel secondo dei due testi citati. Si soffre con l’autore, attraverso quelle pagine, e poi non si ha più voglia di ridere leggendo e rileggendo le funamboliche facezie letterarie del resto del volume.